Il compito più immediato del successore di Francesco, papa Leone sarà quello di proseguire i lavori del sinodo sulla sinodalità, la grande assemblea che nel 2023 e nel 2024 ha riflettuto sul futuro di una chiesa più inclusiva.
È una prassi ormai consueta appena chiuso un conclave: dopo una fase in cui emergono le divergenze di vedute, spetta al nuovo papa – eletto giovedì 8 maggio – rassicurare sull’unità della chiesa. Lo stesso sistema alla base della sua elezione, che richiede una maggioranza di due terzi, è pensato proprio per scongiurare divisioni.
Questo sforzo di unità può concretizzarsi perfino nella scelta del nome da pontefice. Giovanni Paolo I, nel 1978, aveva unito nel proprio nome i suoi due predecessori, Giovanni XXIII e Paolo VI, le cui linee pastorali avevano diviso la chiesa.
Le divisioni
Scegliendo il nome Leone XIV, in riferimento a Leone XIII, il cardinale statunitense Robert Francis Prevost mostra quanto tenga alla dimensione sociale della chiesa. Ma durante il suo primo intervento dal balcone della basilica di San Pietro, giovedì, ha anche voluto ricordare: “Siamo uniti, mano nella mano…”.
Questo bisogno di unità è anche uno dei temi ereditati dal pontificato di Francesco. Il papa argentino è stato lodato per aver rappresentato la chiesa nel mondo con una forza fuori dal comune. Tuttavia, il suo stile di governo – solitario, imprevedibile, a volte autoritario – ha suscitato critiche. Durante le congregazioni generali precedenti al conclave, alcuni cardinali hanno espresso chiaramente il desiderio di una gestione più collegiale e la necessità di una fase di pacificazione. La riforma della curia, avviata da Francesco, dovrà essere portata a compimento senza sconvolgere l’istituzione, altrimenti il rischio è quello di provocare resistenze o sabotaggi.
Il sinodo
Il compito più urgente per il nuovo papa sarà la prosecuzione del sinodo sulla sinodalità, avviato per una chiesa più inclusiva. A marzo Francesco aveva esteso i lavori fino al 2028, imponendoli di fatto al suo successore. Nonostante alcune opposizioni, un relativo consenso si era espresso durante le congregazioni generali. Giovedì, Leone XIV ha espresso il desiderio di proseguire verso una “chiesa sinodale”.
Tuttavia, i risultati di questo grande progetto restano incerti. Se i laici – comprese le donne – sono stati coinvolti nelle riflessioni, il ruolo che sarà loro riservato nel futuro dell’istituzione non è ancora definito. Francesco, ad esempio, non si è mai espresso chiaramente sulla questione dell’ordinazione di donne diacono, tema che agita da anni la chiesa. Robert Prevost aveva espresso le sue riserve al riguardo.
Altri aspetti si prestano a forti divisioni, dalle questioni liturgiche a quelle morali, come la benedizione delle coppie gay, autorizzata da Francesco, o la comunione ai divorziati risposati, che il papa aveva promosso con spirito di accoglienza ma senza modificare la dottrina.
Su questi temi si scontrano conservatori e progressisti, ma le differenze si muovono anche lungo faglie geografiche, con molte chiese del sud del mondo meno inclini al cambiamento.
Violenze sessuali
Il successore di Francesco dovrà affrontare anche il tema degli abusi sessuali all’interno della chiesa. Dopo una tardiva presa di coscienza nel 2018, durante un viaggio in Cile, papa Francesco aveva introdotto misure come l’obbligo per i religiosi di denunciare gli abusi a Roma e l’istituzione di un sistema per accogliere le segnalazioni. Il problema è tutt’altro che risolto in occidente, e potrebbe emergere in paesi che finora lo hanno trascurato. In Perù, dove fu vescovo di Chiclayo, Prevost ha dovuto affrontare uno dei più gravi casi di abusi sessuali del paese.
Il calo delle vocazioni
Un’altra questione particolarmente rilevante in occidente è il calo della partecipazione ai riti religiosi e delle vocazioni. In Germania più di mezzo milione di persone ha lasciato la chiesa nel 2022. In Francia, i battesimi di adulti, anche se in aumento, non compensano il calo generale del numero dei battesimi.
Altrove, soprattutto in Africa, sarà necessario trovare il modo di trattenere i fedeli attratti in massa dalle chiese evangeliche. Il dialogo interreligioso, in particolare con l’islam, è emerso come uno dei temi più importanti durante le congregazioni generali.
Una sfida globale
I cardinali e il nuovo papa dovranno rilanciare l’attrattiva del cattolicesimo nei paesi occidentali sempre più secolarizzati, che Francesco a volte ha dato l’impressione di trascurare. Leone XIV, nato a Chicago, dovrà prestare particolare attenzione alle tensioni interne della sua chiesa d’origine, quella statunitense, segnata da profonde divisioni.
Nel 2019 Francesco aveva firmato ad Abu Dhabi, insieme ad Ahmed al Tayeb, grande imam della moschea Al Azhar del Cairo, un testo sulla “fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, che segnava una volontà di avvicinamento all’islam.
Leone XIV dovrà proseguire su questa strada, anche per garantire la sicurezza dei cattolici nei paesi a maggioranza musulmana.
Volendo conservare un ruolo forte sulla scena mondiale, la chiesa cattolica dovrà continuare anche lungo la via della diplomazia tracciata da Francesco. Il nuovo papa dovrà però affermare il proprio stile e le proprie convinzioni. Il pontefice argentino si era espresso instancabilmente sulla guerra a Gaza, correndo il rischio di irrigidire molti, e aveva utilizzato il termine, su cui c’è tutt’altro che consenso, di “genocidio”. Anche le sue posizioni sull’invasione dell’Ucraina da parte della Russia erano state criticate, con una ricerca di equilibrio che a volte lo aveva portato a mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito.
L’autorità morale della Santa Sede rischia di essere messa alla prova in un mondo attraversato da forti correnti autoritarie e populiste. L’amministrazione Trump, per esempio, non aveva esitato ad attaccare la posizione di Francesco sui migranti e ad aggredire le azioni della chiesa cattolica statunitense.
Infine, resta aperta la questione dell’accordo firmato con la Cina nel 2018, uno dei risultati più controversi del pontificato di Francesco. Il testo, i cui dettagli sono segreti, dà a Pechino il potere di nominare in modo condiviso i vescovi cinesi, che secondo i critici minerebbe l’autorità del Vaticano. Anche su questo tema le divisioni interne restano profonde.
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