Il 14 ottobre, a metà mattinata, le scalinate della Gare du Nord di Bruxelles sono state invase da una marea di persone con indosso casacche rosse e verdi. Erano i rappresentanti dei sindacati, sia socialisti sia d’ispirazione cattolica, che hanno deciso di fare fronte comune contro le misure di austerità adottate o annunciate dal governo.

Al corteo, impressionante e capace di andare al di là delle barriere linguistiche e generazionali, hanno partecipato più di centomila persone di tutti i settori lavorativi. Nel pomeriggio il primo ministro Bart De Wever, del partito nazionalista Nuova alleanza fiamminga (N-Va), ha preferito non pronunciare il tradizionale discorso di politica generale previsto per il secondo martedì d’ottobre. In realtà il “conclave” sulla manovra finanziaria degli esponenti della sua coalizione, chiamata “Arizona” per i colori dei partiti che la formano, aveva già subìto un ritardo, ma di sicuro la manifestazione, annunciata da tempo, non ha incoraggiato ad accelerare i tempi.

Anche se gli annunci ufficiali sulle nuove misure non sono ancora arrivati, i motivi per manifestare non mancano. Prima di tutto ci sono i provvedimenti già votati, come la riforma che limita a due anni il diritto al sussidio di disoccupazione. Entrerà in vigore il 1 gennaio e spingerà migliaia di persone verso strutture di assistenza che sono già oltre il massimo delle loro capacità.

Poi ci sono le misure che notoriamente fanno parte del programma della coalizione, come quella che limiterebbe fortemente la possibilità di andare in pensione in anticipo, prima dei 67 anni, con un assegno dignitoso. Infine ci sono quelle annunciate per saggiare le reazioni dei cittadini: la loro realizzazione non è certa ma contribuiscono comunque a seminare inquietudine. Un esempio è la proposta di De Wever di sospendere temporaneamente l’indicizzazione dei salari all’inflazione, una misura che in Belgio esiste ancora e che, pur non essendo perfetta, protegge i lavoratori dalle impennate dei prezzi.

“Questo governo è un rullo compressore”, hanno sottolineato con timore alcuni dipendenti di un’associazione per i giovani, accusando l’esecutivo di “accanirsi sui poveri e sui lavoratori precari”.

Dalla parte del capitale
Il governo ha risposto alla protesta ricordando gli impegni richiesti dall’Unione europea e il forte indebitamento del paese: il 107 per cento del pil, vicino a quello della Francia. Nei prossimi quattro anni l’esecutivo belga vorrebbe far calare il debito pubblico di una ventina di miliardi, ma la sua retorica è indebolita da due fattori.

Innanzitutto è evidente che i grandi capitali sono totalmente risparmiati dalle manovre di austerità. Le aziende private belghe continuano infatti a godere di un massiccio sostegno statale dagli effetti quanto meno discutibili, come ha documentato di recente un gruppo di economisti fortemente critici nei confronti del governo. In secondo luogo le tesi del governo sono smentite dal fatto che quando si tratta di incrementare la spesa militare compaiono magicamente dei margini di manovra. Per una coincidenza di calendario, i primi aerei da combattimento F-35, molto costosi e acquistati dagli Stati Uniti, sono arrivati sul suolo belga proprio il 13 ottobre.

Durante la manifestazione del giorno dopo tre nomi in particolare monopolizzavano gli slogan e gli striscioni. Il primo era naturalmente quello di De Wever, ritratto come un macellaio armato di mannaia o come il sospetto numero uno del “furto delle pensioni”. Storicamente vicino agli imprenditori fiamminghi, il primo ministro è il principale responsabile di una politica economica che avrà un impatto pesante soprattutto sulle comunità e i gruppi sociali francofoni.

Il secondo nome è quello del socialista fiammingo Conner Rousseau, unico esponente della sinistra all’interno della coalizione. Il suo scivolamento a destra è confermato dalla sua decisone di difendere la drastica riforma del sussidio di disoccupazione. Detto questo, in un corteo in cui i francofoni erano molto numerosi, gli attacchi più veementi sono stati indirizzati contro il liberale Georges-Louis Bouchez, capo del Movimento riformatore (Mr). Étienne, uno dei manifestanti, lo definisce “il cane da guardia dei padroni” per sottolineare i suoi legami con gli interessi degli imprenditori, tanto fiamminghi quando valloni.

Una storia di austerità
Non è la prima volta che il Belgio deve affrontare misure di austerità e un programma neoliberista. Molto più rara, invece, è l’assenza quasi totale dei contrappesi che in passato hanno portato a riforme dello stato sociale più moderate o comunque negoziate. A conti fatti, al di fuori dei socialdemocratici fiamminghi del partito Vooruit (che in realtà è una formazione centrista), oggi la sinistra non fa parte né del governo federale né di quelli regionali. Il Partito socialista francofono, in particolare, è relegato all’opposizione ormai da tempo. “Non solo è storicamente debole, ma deve affrontare anche la concorrenza dei movimenti alla sua sinistra”, sottolinea il politologo Damien Piron, dell’università di Liegi. La sinistra radicale del Partito del lavoro belga (Ptb), molto attivo nella mobilitazione sociale, rimprovera ai socialisti i compromessi del passato.

“Ciò che è inedito, nella situazione attuale, è la debolezza del movimento sociale e della ‘base’”, spiega il politologo Arthur Borriello, professore dell’università di Namur. “Le forze politiche più schierate, soprattutto quelle che sono al potere, sono sempre più sconnesse dalle organizzazioni sindacali o di categoria a cui in precedenza erano legate”.

È il caso degli Engagés, partito erede della tradizione cristianodemocratica e parte della coalizione Arizona, di cui– secondo alcuni – sarebbe l’anello debole. Gli Engagés potrebbero anche contestare le scelte di austerità, che contrastano con le promesse della loro campagna elettorale, ma resta il fatto che si sono allontanati parecchio dal sindacalismo cattolico.

Un aspetto cruciale è che il principale partito della coalizione, l’N-Va di Bart De Wever, non s’inscrive nella tradizionale dinamica politica del paese. “I nazionalisti fiamminghi sono neoliberisti fino al midollo, senza alcun contatto con la società civile organizzata”, conferma la politologa Zoé Évrard, dell’università cattolica di Louvain. Alla vigilia della mobilitazione del 14 ottobre il primo ministro aveva pubblicato un tweet per celebrare il centenario della nascita di Margaret Thatcher, affermando che le sue parole sull’inesistenza di una alternativa alle politiche ostili nei confronti dei lavoratori “sono attuali ancora oggi”.

Évrard, che ha analizzato insieme a Piron e ad altri colleghi il progetto di austerità della coalizione, sostiene che oggi è in corso una “accelerazione” della traiettoria neoliberista del paese.

Offensiva liberista
Come in altri paesi occidentali, anche in Belgio la prima svolta si è verificata all’inizio degli anni ottanta, mentre gli anni novanta sono stati caratterizzati da un consolidamento delle politiche economiche neoliberiste, stavolta con il coinvolgimento del fronte socialista. “È emerso un nuovo regime in un contesto in cui bisognava rispettare i criteri di Maastricht per entrare a far parte dell’Unione economica e monetaria”, prosegue Évrard. “Il grosso delle privatizzazioni è stato fatto in quel momento, e quel consolidamento ha raccolto il convinto sostegno dell’élite economica belga. Il mondo sindacale, invece, ha agito con grande ambiguità, negoziando alcune conquiste in cambio di una canalizzazione della contestazione”.

Con l’offensiva attuale, il neoliberismo governativo compie un passo ulteriore, diventando più brutale e meno incline alle trattative. Questa tensione, però, sta favorendo la ricostituzione di un fronte sindacale unito. “Oggi vengono superati nuovi limiti”, conferma Piron lanciando l’allarme sul fatto che le decisioni federali rischiano di creare grossi problemi alle entità federate. Questo meccanismo potrebbe alimentare nuove richieste di finanziamento da parte delle entità più fragili, un intervento che i nazionalisti fiamminghi accetteranno solo in cambio di un’ulteriore riduzione delle competenze dello stato federale.

Quello che sta accadendo va ben oltre le decisioni sul bilancio per l’anno prossimo. La prova di forza attesa in autunno avrà sicuramente un impatto, più o meno consistente, sulla singolarità del modello politico ed economico del Belgio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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