Nel ricordare la grande esposizione universale del 1900 a Parigi, Céline descriveva le nuvole di polvere sollevate dai piedi delle file della gente accalcata fino alla sala macchine per veder apparire “metalli in tortura, minacce colossali, catastrofi incombenti. La vita moderna cominciava”. Nello stesso anno Alfred Jarry, l’inventore della patafisica, ammassava disastri nella rappresentazione del riassunto prototipo, infinito e cialtrone di ogni potente che è l’Ubu che si fa re. Il nuovo ordine è garantito grazie ai suoi spietati palotini e alla macchina del decervellamento, che amputa la ragione delle masse. L’inizio del secolo scorso arrivava con prototipi, macchine che ancora avevano necessità del corpo umano per completare l’opera, un po’ come quegli organi a manovella che azionavano la musica a costo del lavoro del braccio. Il nuovo secolo si è annunciato con stragi prodigiose e con macchine che sempre meno necessitano del fattore umano per far fuori l’umano. La macchina si è evoluta e continua a decervellare in questi giorni a pieno ritmo. Forse a un progresso scientifico decervellato di etica e coscienza è preferibile la patafisica, l’inutilissima scienza delle soluzioni immaginarie. L’unica cosa che spara è la sparata grossa: la capriola del motto con fuoco d’artificio, come la parola che risuona all’apertura del sipario all’apparire di ogni rinnovato Ubu re: “Merdre!”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati