Nel quartiere popolare di Prosperidad, a Madrid, due artisti circensi cubani arrivano con quattro enormi valigie davanti al piccolo Hostel Thirty One. Imbarazzati e un po’ diffidenti, Cristian di 19 anni e Andrés di 29 dicono di essere venuti qui per “conoscere la Spagna”. Ma alla fine i due, in possesso di un visto turistico, ammettono di sperare in un lavoro che gli permetta di stabilirsi a Madrid. “A Cuba l’economia va male, non c’è più niente nei negozi, bisogna fare la fila per ore per sperare di ottenere da mangiare”, spiega Cristian. “La Spagna è un bel paese, alcuni amici sono già qui, vediamo se riusciamo a trovare un lavoro”, aggiunge Andrés.
La popolazione spagnola cresce a un ritmo accelerato dopo la fine della pandemia di covid-19. Secondo l’istituto nazionale di statistica (Ine), il numero di abitanti ha superato i 49 milioni nel 2024, con un aumento netto di 450mila residenti, arrivati soprattutto dalla Colombia (157mila), dal Venezuela (107mila) e dal Marocco (106mila). Nel 2022 il saldo migratorio era stato di 727mila persone, nel 2023 di 642mila. In tre anni la popolazione è aumentata di 1,6 milioni. Sono cifre che superano quelle registrate nell’ondata migratoria degli anni duemila, alimentata all’epoca dal boom edilizio.
“L’immigrazione sta salvando la demografia spagnola”, spiega Joaquín Recaño, ricercatore dell’Università autonoma di Barcellona. La Spagna è uno dei paesi europei più colpiti dall’invecchiamento della popolazione e dal calo della natalità, al punto che il saldo naturale, diventato negativo nel 2015, non fa che aumentare. Nel 2022 la Spagna ha registrato 133mila morti in più delle nascite, nel 2023 113mila. Secondo l’Ine, quasi 9,4 milioni di persone, cioè il 19 per cento degli abitanti, sono nate all’estero. Se i marocchini rappresentano la prima comunità straniera, con 1,1 milioni di residenti, i latinoamericani sono più di 4,2 milioni, in particolare colombiani (850mila) e venezuelani (500mila). L’instabilità economica e politica in America Latina, ma anche il bisogno di manodopera nei settori turistico, alberghiero e dei servizi in Spagna, spiegano questo boom migratorio. Il paese, che si tiene alla larga dai discorsi xenofobi diffusi in Europa, non ha rafforzato la chiusura delle frontiere e anzi ha sviluppato degli strumenti per facilitare le regolarizzazioni. “Senza gli immigrati la metà dei ristoranti sarebbe chiusa, i cantieri edilizi si fermerebbero, non avremmo personale di cura, i nostri prodotti agricoli non verrebbero raccolti”, assicura un esponente politico spagnolo. “Se gli europei vogliono mantenere i loro standard di vita, hanno bisogno di milioni di immigrati”. Secondo il governo, al paese servono tra i 250mila e i trecentomila lavoratori stranieri all’anno per sostenere il welfare, e in particolare il sistema pensionistico.
Un nuovo sistema
A novembre del 2024 è stato approvato un nuovo sistema per regolarizzare quasi trecentomila persone all’anno entro il 2027. Già prima si poteva ottenere un permesso di soggiorno dimostrando tre anni di presenza sul territorio, cosa abbastanza semplice grazie alla possibilità aperta a tutti di registrarsi all’anagrafe municipale. Oggi questo tipo di regolazione detta “per radicamento” è stata rafforzata con la definizione di cinque tipologie – sociale, socio-formativa, socio-professionale, familiare e di seconda opportunità (per chi non ha rinnovato il permesso di soggiorno) – mentre il termine per avvalersene è stato portato a due anni.
L’aumento della popolazione contribuisce, con il boom del turismo, alla forte crescita della Spagna, che nel 2024 è stata del 3,2 per cento contro l’1,1 per cento della Francia e lo 0,2 per cento della Germania. A dicembre del 2024 il primo ministro Pedro Sánchez commentava che il 40 per cento della crescita attuale poteva essere attribuito all’immigrazione, che sostiene in particolare i consumi. L’anno scorso solo sessantamila dei 470mila posti di lavoro creati sono stati occupati da persone nate in Spagna, e l’88 per cento è andato a residenti stranieri o persone nate all’estero con doppia cittadinanza. Negli ultimi quattro anni l’immigrazione ha coperto il 70 per cento dei posti di lavoro creati.
Se da un lato sono state facilitate le regolarizzazioni, dall’altro sono stati allargati nei paesi di origine i criteri per ottenere la cittadinanza, in particolare grazie alla ley de nietos (la legge dei nipoti), che ha facilitato l’ottenimento della cittadinanza per i discendenti di esiliati “per ragioni politiche, ideologiche, religiose o per il loro orientamento o identità sessuale”, durante la dittatura franchista.
Un master in recitazione
“A Madrid sto bene, è una città piacevole e accogliente”, spiega Juliano Gallo, 33 anni, laureato in ingegneria industriale e attore. È arrivato da Buenos Aires nel 2022 per seguire un master in recitazione per l’audiovisivo. “In Argentina, con l’inflazione a tre cifre e la crisi, non si poteva avere una stabilità e un orizzonte economico. Per esempio era impossibile fare un mutuo per comprare una casa”. Dopo aver lavorato part-time come cameriere, Gallo ha trovato senza difficoltà un lavoro come addetto commerciale, con uno stipendio da trentamila euro all’anno. Ha vissuto in un appartamento condiviso con altri cinque latinoamericani, ma alla fine si è stabilito nel quartiere periferico della Elipa, dove per 900 euro al mese ha preso in affitto un casa con tre stanze insieme a due amici, un argentino e un cileno. “L’accordo con il proprietario è che lui non ci aumenta l’affitto e in cambio noi non ci lamentiamo della muffa né del cattivo stato dell’appartamento”, spiega Gallo.
La questione della casa è la sfida principale che la Spagna è chiamata ad affrontare, visto che nel paese mancano seicentomila alloggi. “E anche solo per assorbire i flussi migratori attuali bisognerebbe costruire tra i cinquanta e i sessantamila appartamenti all’anno”, sostiene Recaño. Da un sondaggio del Centro di ricerca sociologica risultava che l’immigrazione era la preoccupazione principale degli spagnoli. In seguito il tema è finito al sesto posto, molto indietro rispetto alla crisi degli alloggi, all’economia e alla disoccupazione. Anche l’arrivo di ricchi europei, nordamericani e latinoamericani, attratti dalla qualità della vita in Spagna e in grado di comprare in contanti appartamenti a prezzi alti, sta provocando delle tensioni. Abituata agli slogan contro i turisti, la città di Barcellona ha visto apparire sui suoi muri graffiti che invitano a “cacciare gli espatriati e i nomadi digitali”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati