L a casa è un rifugio, ma anche un tipo d’investimento. Questa realtà viene trascurata nel dibattito sull’impennata dei prezzi delle case, soprattutto negli Stati Uniti. Dal congelamento degli affitti (una proposta della sinistra populista) alla deregolamentazione fino alla proposta di istituire mutui di cinquant’anni sostenuti dal governo (l’ultima pensata di Donald Trump), tutti hanno una soluzione pronta. Tuttavia è impossibile affrontare il problema più generale senza partire da un’analisi dei cambiamenti sistemici che hanno trasformato le case in titoli da scambiare sul mercato finanziario.

La questione degli alloggi sarà in cima alla lista delle discussioni che portano alle elezioni di metà mandato, a braccetto con un altro tema caldo: la crescente concentrazione del mercato nelle mani di poche grandi aziende.

La carenza di alloggi è uno dei motivi principali dell’aumento dei prezzi. Ci sono molti fattori che l’hanno provocato, dal rialzo dei costi di costruzione a quello dei tassi d’interesse

La carenza di alloggi è uno dei motivi principali dell’aumento dei prezzi. Ci sono molti fattori che l’hanno provocato, dal rialzo dei costi di costruzione a quello dei tassi d’interesse. Eppure tra le cause della differenza tra domanda e offerta dopo la crisi finanziaria del 2008 ce n’è una poco considerata: le piccole imprese di costruzione e le piccole banche sono state schiacciate da compagnie più attrezzate per sfruttare un mercato degli alloggi così finanziarizzato.

Un nuovo rapporto dell’American economic liberties project (Aelp, un’organizzazione senza scopo di lucro di Washington che si occupa di monopoli), sottolinea che negli ultimi decenni i politici di entrambi gli schieramenti hanno preso decisioni favorevoli ai grandi operatori del mercato. In varie occasioni queste imprese e banche più grandi, anziché aumentare il numero di case costruite, creano artificialmente una carenza di alloggi per incrementare i profitti. Il rapporto sostiene che per risolvere il problema è indispensabile contrastare sia l’eccessivo ruolo dei mercati sia la concentrazione in poche mani dell’edilizia residenziale.

Un tempo i risparmi comunitari sostenevano i prestiti, la costruzione e l’acquisto della maggior parte delle abitazioni negli Stati Uniti. Le politiche del new deal favorivano i piccoli creditori, che avevano l’obbligo d’incanalare i depositi nell’attività immobiliare. Ma alla fine degli anni settanta l’inflazione, gli aumenti dei tassi d’interesse e la deregolamentazione dell’era Reagan crearono un ambiente difficile per i costruttori e per i gli istituti di credito minori. In dieci anni, metà di loro dichiararono fallimento. Da allora abbiamo assistito a una progressiva concentrazione dell’attività immobiliare e bancaria nelle mani di un manipolo di grandi aziende.

Oggi quasi metà delle case statunitensi unifamiliari viene costruita dalle più grandi società immobiliari, tra cui la Dr Horton, la Lennar Corporation e la Toll Brothers. Queste società, come tutte quelle quotate in borsa, dipendono dagli azionisti e non dai debitori, quindi usano buona parte degli introiti per riacquistare le azioni e sono incoraggiate a mantenere alti i margini, per esempio tenendo sotto controllo il numero di alloggi disponibili, quello dei cantieri e perfino quello dei terreni. Come sottolinea il rapporto dell’Aelp, è ormai molto diffusa la pratica del land banking, che consiste nell’acquistare vasti appezzamenti di terreno per cederli quando le condizioni finanziarie sono buone.

Le grandi banche, naturalmente, preferiscono operare con le grandi società immobiliari, che portano profitti più alti, e diversi elementi dimostrano che tendono a prestare meno alle piccole imprese. In questo modo la disponibilità di alloggi è regolata dal mercato e non dalla domanda, dunque le case sono meno accessibili per lo statunitense medio.

Cosa dovrebbero imparare i politici da tutto questo? Le fazioni contrarie ai monopoli all’interno dell’amministrazione Trump potrebbero cercare di capire come sostenere i costruttori locali e di ostacolare l’accorpamento del settore, anziché concedere sgravi fiscali ai giganti immobiliari. A livello statale e locale, una tassa sul valore dei terreni scoraggerebbe la tendenza ad ammassarli, mentre si potrebbe fissare un limite al numero di immobili che una società è autorizzata a possedere.

Inoltre i politici dovrebbero analizzare meglio il mercato degli alloggi. Sono rimasta piacevolmente sorpresa da un articolo recente su Zohran Mamdani, che faceva intendere che il neoeletto sindaco di New York potrebbe adottare un approccio più raffinato di quanto pensassi. Nel 2020 Mamdani dichiarava: “Nel mio lavoro ho capito che non si tratta di uno scontro tra proprietari di casa e affittuari. La crisi abitativa mette da un lato gli affittuari e i proprietari di casa e dall’altro gli speculatori finanziari e le banche d’investimento”. L’edilizia abitativa dovrebbe pensare soprattutto a garantire alle persone un posto dove vivere, non ai profitti degli investitori. ◆ as

Questo articolo è uscito sul Financial Times.

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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati