L’editoriale sui giornali che prendono posizione è sorprendentemente lacunoso. È fuorviante limitarsi alla distinzione tra fatti e commenti perché questa distinzione è quasi impossibile! La stessa scelta dei fatti pubblicati è un’opinione.–V.T.
Che un giornalismo davvero oggettivo non esista, nemmeno quando si riportano i fatti, era dato per scontato. Ma una delle buone regole del giornalismo è proprio non dare mai nulla per scontato, dunque è vero che il ragionamento andava completato. Ogni singola parte del lavoro giornalistico è condizionata dalla soggettività. Di quali argomenti occuparsi e quali invece tralasciare, le fonti da ascoltare, le informazioni da includere nello spazio (o nel tempo) che si ha a disposizione, le parole da usare, il rilievo di una notizia: sono tutte scelte soggettive che risentono inevitabilmente delle opinioni di chi scrive l’articolo e anche di chi lo rivede, lo titola, lo commissiona o di chi lo sceglie, come nel caso di Internazionale. Ma se l’oggettività non esiste, esistono invece l’onestà intellettuale e la correttezza deontologica: per esempio non si dovrebbe nascondere una notizia che contraddice il punto di vista di chi scrive e non si dovrebbe esagerare il peso di un dettaglio che lo conferma. Scriveva David Randall nel fondamentale Il giornalista quasi perfetto che tutto il lavoro dei giornalisti è pervaso dalla soggettività e “per quanto cerchi di essere professionale, nessun cronista riuscirà mai completamente a soffocare i suoi pregiudizi”. Randall parlava di “commenti impliciti o involontari”, riferendosi a quelli che a volte si trovano tra le righe degli articoli che si presentano come oggettivi. Quanto ai commenti che definiva “intenzionali” (quelli per esempio degli editoriali), Randall scriveva che “nessuno negherebbe mai la loro legittimità”: perché un giornale che non esprime la sua opinione “ha una personalità incompleta”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati