Vi propongo un viaggio in un mondo sessualmente utopico. L’arredamento sarà minimalista e in toni pastello. La colonna sonora, canti di uccelli. Per l’abbigliamento: accappatoi morbidi, ciabatte larghe e mutandine di carta. Benvenuti alla spa, all’hammam, al centro massaggi. E ora immaginate di vivere qui i nostri rapporti sessuali. Immaginate che i nostri giochi amorosi prendano a prestito i codici di questi luoghi: la lentezza, la gentilezza, l’attenzione al corpo.

Eccoci dunque pronti, entusiasti, freschi come una rosa. L’incontro è previsto di mattina o pomeriggio, non a fine serata (quando il nostro unico vero desiderio è quello di ronfare per dieci ore di fila). Arriviamo puliti e in ordine, ce ne andremo spettinati. Stiamo per offrirci a uno sguardo che non giudica.

Alla reception una persona gentile ci elenca tutte le possibilità. Ed ecco il miracolo: le proposte fanno sembrare antiquato il repertorio sessuale. Mentre ancora discutiamo di preliminari e penetrazione, il mondo dei massaggi ha già moltiplicato scuole e offerte: californiano, thailandese, svedese, ayurvedico, a due mani, a quattro mani, con pietre calde, canne di bambù o palline con dei rilievi. Sogno un kamasutra generoso, un sexy shop ben fornito come una spa.

Niente da dimostrare

Sul lettino per i massaggi l’unico obiettivo è il piacere. Non la prestazione, la ricerca di conferme o il controllo. A volte è rilassante. Altre è sconvolgente. Certe volte pensiamo ad altro. Ma siamo pur sempre dentro il nostro corpo, che è accarezzato, avvolto, riconosciuto. Niente da dimostrare, niente da produrre. Il telefono è fuori portata, e piano piano abbandoniamo il mondo funzionale per quello carnale.

Il corpo si trasforma. Letteralmente. Passa da uno stato perennemente connesso a quello di una focaccia calda e oliata: impastato, rigirato, onorato. E se fosse proprio questa la metafora definitiva per un rapporto sessuale ben riuscito? Accogliere, sciogliersi, aprirsi. Un corpo che non resiste, bensì riceve.

Il tempo si distende, come i gesti del professionista. Non si propone un “massaggio lampo” come si propone una sveltina. Ci si impegna per trenta minuti, un’ora, due ore: il tempo che ci vorrà. E soprattutto, non c’è alcun bisogno di concludere. Il piacere risiede nell’esperienza. Per l’orgasmo ci resta sempre la masturbazione, no?

Anche lo spazio si espande: tutto il corpo è incluso, non solo le zone “utili”. Il cuoio capelluto, le ginocchia, le dita dei piedi ricevono la stessa attenzione delle spalle o delle natiche. E questo cambia tutto, perché nel sesso etero le donne sono spesse toccate in modo strumentale. Il clitoride diventa un bottone per far aprire la “porta successiva”. Un massaggiatore, invece, non si accanisce cinquanta minuti su una clavicola per sbloccare un ginocchio. Tocca per il piacere di toccare.

E poi c’è il contesto. La luce soffusa. La temperatura perfetta. Il lettino riscaldato. L’olio che scivola tiepido. L’assenza di pressioni. Perché non puntare ad appagare, anche nella sessualità, le stesse esigenze sensoriali? Perché tollerare le lenzuola ruvide, i lubrificanti appiccicosi, le parole brusche? E se ci concedessimo una sessualità che cura, come un massaggio?

Alla fine di questo viaggio siamo trasportati altrove. Galleggiamo, un po’ svuotati, un po’ intorpiditi. Non abbiamo consumato, né siamo stati consumati. Abbiamo vissuto un’esperienza dei sensi. E ritornando nel mondo dei gesti sbrigativi, degli orgasmi obbligatori e dei rapporti ripetitivi, ci chiederemo: ma perché il sesso non somiglia a questo?

L’utopia della spa si regge su due ingredienti che la nostra società si ostina a escludere dalla sessualità: la cura e il servizio. Eppure avremmo tanto da guadagnare, se trasformassimo (anche solo due volte all’anno) la nostra camera da letto in una spa. Quindi, se avete voglia di passare una splendida domenica, compratevi dell’olio di cocco. Stendete sul lettino un asciugamano caldo. Fate partire una playlist di canti di uccelli. Toccate come farebbe un massaggiatore. Accarezzate con cura. Quelle brutte, tristissime mutandine di carta, invece, lasciamole perdere, va bene?

(Traduzione di Francesco Graziosi)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it