Stati Uniti e Cina hanno due strategie molto diverse per lo sviluppo e l’esportazione delle loro intelligenze artificiali. Per la Silicon valley nella sua nuova versione trumpiana le ia sono, contemporaneamente, uno strumento di colonialismo tecnologico e una questione di soldi, profitto e proprietà intellettuale. Lo sviluppo delle tecnologie è concentrato nelle mani di poche aziende, fortemente connesse fra loro. I modelli statunitensi sono quasi tutti proprietari e non si possono riusare liberamente per sviluppare altri software; le licenze e le regole d’uso sono stringenti e vengono modificate in maniera arbitraria.
Il rapporto del Council on foreign relations dice che gli Stati Uniti hanno affidato gran parte della loro strategia alla situazione di vantaggio nella produzione di hardware e nello sviluppo degli algoritmi, e alla capacità di attirare talenti con grandi capitali economici. Negli Stati Uniti, sette aziende (Nvidia, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Apple e Tesla) controllano l’intera filiera dell’intelligenza artificiale: progettano i chip, gestiscono il cloud, sviluppano i modelli, vendono le applicazioni. Sono in concorrenza fra loro, ma verticalmente integrate: ognuna costruisce il proprio ecosistema, con le proprie startup, i propri modelli, il proprio cloud ma poi ci sono intrecci di ogni genere. La Microsoft ha stretto un’alleanza in un primo momento quasi esclusiva con la OpenAi ma quest’ultima ha fatto un accordo con Amazon; Google e Amazon hanno investito miliardi nella Anthropic, lo sviluppatore dei modelli Claude, e così via.
Gli Stati Uniti stanno anche cercando di mantenere il loro vantaggio attraverso barriere tecnologiche ed economiche. Per esempio, hanno limitato l’esportazione dei chip avanzati per impedire che le aziende e il governo cinesi li possano usare e considerano le intelligenze artificiali anche sotto un aspetto di sicurezza nazionale. Cosa che giustifica la produzione di modelli proprietari e chiusi.
La Cina, invece, ha fatto della diffusione e dell’open source (almeno parziale) una leva strategica che comprende: il rilascio di modelli che tutti, anche le aziende statunitensi, possono riusare, come DeepSeek o Qwen; l’accesso semplificato e gratuito; la cooperazione internazionale con paesi in via di sviluppo; la creazione di un ecosistema globale che ruoti intorno ai suoi modelli; l’essersi intestata uno sviluppo sostenibile delle intelligenze artificiali coerente con l’agenda 2030. Il ragionamento di Pechino più o meno suona così: se hai una posizione di svantaggio per hardware e investimenti privati, puoi comunque costruire una piattaforma di diffusione globale che metta in condizioni molti paesi di usare i tuoi modelli, rispettare i tuoi standard e, nel tempo, adottare la tua lingua tecnologica. Uno studio della Asia society policy institute dice che la Cina sta deliberatamente utilizzando l’open source come strumento di influenza globale.
Infatti, l’idea di offrire modelli più accessibili a costi inferiori permette di legarsi a paesi emergenti che non vogliono o non possono accedere ai modelli statunitensi chiusi. L’open source è anche un modo per aggirare le restrizioni: se gli Stati Uniti e i loro alleati chiudono l’accesso ai chip o alle tecnologie, rilasciare modelli aperti significa costruire diffusione e standard alternativi e ridurre la dipendenza dall’occidente.
Fra le aziende, rivali tradizionali come la Alibaba e la Tencent stanno investendo insieme nelle stesse startup: Zhipu, Baichuan, Moonshot. Lo stato interviene direttamente, distribuisce i fondi, impone una regia centralizzata e garantisce l’accesso a infrastrutture dedicate, energia sovvenzionata, data center pubblici.
L’open source cinese è contemporaneamente una scelta tecnica e geopolitica: se domani un paese del sud globale volesse addestrare un modello nella propria lingua, con i propri dati, a chi si rivolgerebbe? Alla OpenAi, che impone clausole restrittive, limita l’uso commerciale, fa modifiche non controllabili al codice? O all’Alibaba, che offre il codice completo e pronto all’uso?
Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google, ha riassunto così il risultato di queste due strategie contrapposte: “I modelli più potenti negli Stati Uniti sono chiusi; quelli più grandi in Cina sono open source. Gli altri paesi finiranno per usare quelli cinesi”. Non perché siano necessariamente migliori, ma perché sono gratis e aperti.
Mentre la narrativa pubblica insiste sull’immagine troppo semplicistica di una guerra fredda delle intelligenze artificiali, lo scenario è molto più complesso: siamo di fronte a un duopolio asimmetrico, dove la Cina ha un modello open e strategico, gli Stati Uniti un modello chiuso e finanziarizzato. E al centro ci siamo noi: persone, governi, istituzioni, alle prese con una nuova tecnologia e con scelte da fare, senza sapere bene quale sia la strada migliore da seguire.
Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.
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