Se si trattasse solo di una crisi climatica, l’avremmo già risolta. La tecnologia, i soldi e le strategie sono a nostra disposizione da anni. A fermare un’azione efficace è una combinazione letale: il fatto che la crisi climatica si scontra frontalmente con la crisi epistemica. Una crisi epistemica è una crisi nella produzione e nella diffusione della conoscenza. Riguarda quello che sappiamo e come lo sappiamo, cosa riteniamo vero e cosa falso. Accanto alla minaccia globale ai nostri sistemi di supporto alla vita, affrontiamo una minaccia globale a quelli di supporto alla conoscenza. Bisogna ammettere, però, che non sono mai stati solidi.
Non c’è mai stata un’età dell’oro della conoscenza pubblica, nessun momento in cui le informazioni fossero in gran parte imparziali e accurate. Nel corso della storia moderna le società europee hanno costruito un ampio consenso su falsità evidenti: per esempio, l’idea che il re rappresentasse tutti gli interessi della nazione, che le donne non fossero adatte alla vita pubblica, che le persone non bianche fossero inferiori, che l’impero fosse una buona forma di governo. Attorno a queste convinzioni è stata costruita un’enorme infrastruttura di persuasione. La conoscenza pubblica è sempre plasmata dal potere.
La promessa della democrazia era che la vita di tutti sarebbe migliorata con la diffusione della conoscenza: avremmo trasformato una maggiore comprensione del mondo in progresso sociale. Per un po’ ci siamo riusciti. Ora però quell’epoca sembra avviarsi alla fine.
Secondo uno studio dell’università di Yale, otto dei dieci programmi più popolari su internet hanno diffuso contenuti negazionisti sui cambiamenti climatici
Il problema fondamentale è che la maggior parte dei mezzi di comunicazione appartiene a persone molto ricche o sotto la loro influenza. Se la democrazia è il problema che il capitale cerca sempre di risolvere, la propaganda è parte della soluzione. Come i re e gli imperi, queste persone usano le loro piattaforme per diffondere le affermazioni che le avvantaggiano e per nascondere le altre. Cioè per rafforzare i movimenti di destra e di estrema destra, che difendono la ricchezza e il potere da chi vorrebbe ridistribuirli.
Negli Stati Uniti assistiamo a un irrigidimento di questa posizione, mentre gli alleati di Trump spazzano via le principali piattaforme dei mezzi d’informazione tradizionali. Il risultato saranno attacchi sempre più scomposti contro chiunque sfidi il capitale.
Gli ultraricchi, inoltre, hanno investito nei nuovi mezzi di comunicazione, come i siti web e i social media. Secondo uno studio dell’università di Yale, otto dei dieci programmi più popolari online hanno diffuso contenuti negazionisti sui cambiamenti climatici. Il conduttore di podcast Joe Rogan ha detto più volte che la Terra si sta raffreddando, basandosi su ricerche che sostengono il contrario. Un’inchiesta di Sky News dedicata a X, la piattaforma di Elon Musk, ha scoperto che ogni profilo creato dai giornalisti, “indipendentemente dal loro orientamento politico, era sommerso da una quantità enorme di contenuti di destra”.
Secondo gli esperti questo schema deriva da un algoritmo progettato appositamente. L’estrema destra, del resto, tende decisamente a negare il cambiamento climatico e a ostacolare le misure per l’ambiente: per questo è sostenuta dalle aziende produttrici di combustibili fossili.
Il capitale trova lavoratori disponibili anche nei mezzi d’informazione che non sono di proprietà dei miliardari. Un articolo sul sito Literary Hub scritto da Peter Coviello, professore di letteratura all’università dell’Illinois, racconta come lui e il suo ex ateneo siano diventati danni collaterali nella campagna del New York Times contro Zohran Mamdani, da poco eletto sindaco di New York.
Coviello descrive un processo familiare agli scienziati del clima: l’equiparazione tra l’opinione degli esperti e quella dei lobbysti. Secondo Coviello se hai i soldi per finanziare un centro studi poco serio, questo produrrà qualunque opinione tu voglia, e poi il New York Times la metterà sullo stesso piano di decenni di studi accademici.
È una descrizione calzante anche per quello che la Bbc intende per “imparzialità”. Quasi ogni giorno la tv pubblica britannica viola le proprie linee guida ospitando i centri studi che si oppongono alle azioni sul clima, senza rivelare chi li finanzia. Nessun dirigente della Bbc si è dimesso per questi fatti. Non ricordo un’occasione in cui qualcuno alla Bbc abbia dovuto farsi da parte per aver travisato le dichiarazioni di un esponente di sinistra, come invece è successo con quelle di Donald Trump.
Per questo non c’è da sorprendersi se i governi stanno facendo marcia indietro sulla lotta ai cambiamenti climatici. Il presidente della conferenza sul clima della Cop30 in Brasile, André Corrêa do Lago, ha osservato una “riduzione d’entusiasmo” tra i paesi più ricchi. Non è un caso. È il prodotto di un attacco alla conoscenza da parte delle persone più ricche del pianeta. Prevenire il collasso climatico significa proteggerci da una tempesta di bugie. ◆ gim
Questo articolo è uscito sul Guardian.
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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati




