In tutto il mondo i leader si riuniscono in vertici convocati in fretta. Nei giorni scorsi, dopo l’attacco di Israele contro Hamas a Doha (una violazione della sovranità del Qatar, un paese che non solo è un alleato degli Stati Uniti, ma anche un pilastro dei negoziati di pace su Gaza) i leader del Golfo hanno mostrato la loro solidarietà. Il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed al Nahyan, è arrivato a Doha e ha abbracciato l’emiro del Qatar. Questo sarebbe stato inconcepibile pochi anni fa. Un altro antico avversario del Qatar, l’Arabia Saudita, dopo l’attacco israeliano ha invocato una “risposta araba, islamica e internazionale per opporsi all’aggressione”. Il 14 settembre i capi degli stati arabi e musulmani sono andati a Doha per un vertice d’emergenza.

Pochi giorni prima un altro vertice aveva dimostrato che possono nascere nuove coalizioni. I leader di India, Cina e Russia infatti si sono incontrati il 1 settembre a Tianjin. La riunione è stata convocata quando Donald Trump si è inimicato un altro alleato, Narendra Modi. Il leader indiano era stato uno dei primi a visitare Washington per festeggiare il secondo mandato del presidente repubblicano. In quell’occasione era stato definito un “grande amico” e i due paesi avevano detto di voler raddoppiare i loro scambi commerciali entro il 2030. Qualche mese dopo Trump ha schiaffeggiato l’India con dazi al 50 per cento sulle sue merci esportate negli Stati Uniti come punizione per l’acquisto di petrolio russo fatto da New Delhi. Poi ha definito “morta” l’economia indiana e ha commentato il vertice di Tianjin dicendo: “A quanto pare abbiamo perso l’India e la Russia nella Cina più profonda e oscura”. Oggi fa pressione sull’Europa perché imponga dazi fino al 100 per cento su India e Cina.

Israele può bombardare chi vuole, gli Stati Uniti possono violare i patti di sicurezza e dettare le condizioni economiche, e nessuno ha il diritto di controbattere

Solo qualche mese prima dell’attacco israeliano Trump era stato a Doha e aveva detto: “Rendiamo grazie per le benedizioni di questa amicizia”. Oggi sembra che rientrare tra gli amici della Casa Bianca non sia una garanzia di buone relazioni, ma il presagio di una pugnalata alle spalle.

Donald Trump e Benjamin Netanyahu contano di poter essere quello che in finanza si chiama price maker, un soggetto capace di determinare il costo di beni e servizi in un mercato non competitivo. Israele può bombardare chi vuole, gli Stati Uniti possono violare i patti di sicurezza e dettare le condizioni economiche, e nessuno ha il diritto di controbattere. Ma se ti comporti così per troppo tempo gli altri cominceranno a cercare modi per adattarsi a queste condizioni di mercato imperfette. Non tanto perché questi paesi si oppongono alla potenza militare statunitense e israeliana. Gli stati del Golfo in passato hanno corteggiato Washington e hanno normalizzato i rapporti con Israele. Ma ora stanno riflettendo perché Trump è instabile e Israele è fuori controllo. Cominciano a fare qualche telefonata, e a cercare di capire come mettere i loro capitali al servizio di una causa comune.

Ci saranno altri paesi pronti a unire le forze. Perché quando tradisci un alleato, tutti si rendono conto che nessuno è più al sicuro. È sorprendente che gli Emirati (firmatari degli accordi di Abramo) abbiano cominciato a criticare Israele dopo l’attacco al Qatar. La sorte di quegli accordi oggi è in discussione. A Tianjin la Cina ha invitato i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione di Shan­ghai a usare i loro mercati per sostenere gli scambi commerciali e ha annunciato una “iniziativa per la governance globale”, un tentativo di proiettare Pechino e i suoi alleati come garanti di un nuovo ordine mondiale. Al vertice c’erano anche Turchia ed Egitto, anch’essi al centro della crisi in Medio Oriente.

In questa nuova fase della politica estera di Trump l’inquietudine per la sua inaffidabilità sta rafforzando la consapevolezza che esporsi agli umori della Casa Bianca è pericoloso. Vale la pena interagire con una controparte senza scrupoli solo se questa osserva un’unica regola: una volta stretto un patto, va rispettato. La Casa Bianca ha violato questo principio.

E, agli occhi di Israele, Trump non sembra più uno che può essere persuaso e corteggiato dai paesi arabi. Non ha una soglia dell’attenzione sufficiente a impedire l’espansione del conflitto.

Il riallineamento globale è a uno stato embrionale, potenzialmente destabilizzante per i paesi legati agli Stati Uniti. Washington è la più grande economia di consumo al mondo. Il suo ombrello di sicurezza e le vendite di armi sono un pilastro per la stabilità di molti stati, in particolare nel mondo arabo. Ma oggi la scelta per gli alleati degli Stati Uniti è tra cedere la propria sovranità a Trump o trovare altri strumenti per consolidarla. Per ora Trump e Netanyahu possono considerare questi vertici e queste dichiarazioni inutili manifestazioni dei più deboli, ma il potere dei loro due governi è fondato anche su una componente psicologica. La consuetudine di assecondarli si fondava sulla consapevolezza di essere sulla stessa barca. Una volta spezzato l’incantesimo, tutto è possibile. ◆ fdl

Questo articolo è uscito sul Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati