In due porti che si trovano su rive opposte del Mediterraneo, due gruppi di famiglie sono coinvolti in una piccola crisi internazionale. Al centro della vicenda c’è il destino di dodici pescatori italiani detenuti in Libia e di quattro calciatori libici in carcere in Italia con l’accusa di essere trafficanti di esseri umani. A Mazara del Vallo, in Sicilia, i familiari dei pescatori chiedono la loro liberazione immediata. I dodici uomini facevano parte di un equipaggio che comprendeva anche sei tunisini e le cui imbarcazioni sono state sequestrate il primo settembre dalla guardia costiera libica. I pescatori, accusati di aver sconfinato nelle acque territoriali del paese africano, sono stati trasferiti a Bengasi. Il generale Khalifa Haftar, che controlla la regione della Cirenaica, avrebbe ordinato di tenerli in carcere fino a quando le autorità italiane non avranno liberato quattro cittadini libici che, secondo i loro familiari, sono stati arrestati ingiustamente.
“È una situazione insostenibile”, racconta Alessandro Giacalone, fratello di uno dei pescatori che lavoravano a bordo delle imbarcazioni Antartide e Medinea. “Dopo sedici giorni sono riuscito a parlare con uno dei componenti dell’equipaggio. Ci ha detto che sono tutti allo stremo e ci ha chiesto di fare il possibile per riportarli a casa”.
Nei circa trecento chilometri di mare che separano la Sicilia dalla Libia la tensione ha cominciato a salire a metà degli anni novanta, quando il governo di Tripoli decise di proteggere con la forza le sue acque territoriali dalle imbarcazioni straniere. La situazione è peggiorata ulteriormente nel 2005, quando Muammar Gheddafi adottò un provvedimento unilaterale per estendere da 12 a 74 miglia dalla costa le acque territoriali libiche.
In gioco c’è l’area di pesca di uno dei crostacei più pregiati del mondo, il gambero rosso, che può arrivare a costare settanta euro al chilo. Secondo i dati del Distretto della pesca, una cooperativa del settore ittico siciliano, negli ultimi 25 anni il bilancio della “guerra del gambero rosso” è stato piuttosto pesante: più di cinquanta barche sequestrate, due confiscate, circa trenta pescatori arrestati e decine di persone ferite. Secondo il quotidiano locale libico Address Lybia, quando si è diffusa la notizia dello “scambio” proposto dal generale Haftar, le famiglie dei calciatori hanno organizzato una protesta davanti alla base navale di Bengasi, chiedendo alle autorità libiche di trattenere in carcere i pescatori italiani fino a quando i quattro libici non saranno rilasciati.
Condanne ingiuste
Di solito nei casi di sconfinamento le autorità libiche rilasciano gli arrestati dopo un paio di settimane di trattative, ma i dodici pescatori di Mazara del Vallo sarebbero accusati anche di traffico di droga. Due settimane dopo l’arresto, infatti, l’agenzia di stampa italiana Agi ha pubblicato le foto di dieci sacchi gialli (che conterrebbero droghe non meglio specificate) disposti davanti a una delle barche sequestrate.
“Vogliono incastrarli, e ora è chiaro che stanno alzando la posta”, accusa Marco Marrone, proprietario delle barche, precisando di non aver ricevuto dal governo italiano nessuna conferma di queste accuse. “Il governo deve aiutarci”, dice Giacalone. “Ci sono madri, mogli, fratelli, bambini e padri che stanno soffrendo. Ora basta, liberateli!”.
Per le autorità italiane Haftar ha un piano ben preciso: ogni nuova accusa contro i pescatori, che a questo punto dovranno comparire davanti a un giudice libico, conferma che il generale è determinato a forzare uno scambio con i quattro calciatori libici accusati di traffico di esseri umani.
Joma Tarek Laamami, Abdelkarim al Hamad, Mohammad Jarkess e Abd Arahman Abd al Monsiff sono stati arrestati in Sicilia nel 2015 e condannati a pene fino a trent’anni di prigione per un attraversamento del Mediterraneo costato la vita a 49 persone.
Secondo gli inquirenti, i quattro libici si trovavano sul ponte della nave e avrebbero chiuso decine di migranti nella stiva durante un viaggio burrascoso. Quando la barca si è rovesciata nei pressi della costa siciliana, i migranti chiusi nella stiva sono morti. Gli avvocati dei calciatori sostengono che le accuse sono prive di fondamento. Tra la stiva e il ponte dell’imbarcazione non c’era nessuna porta ma solo piccole prese d’aria, affermano, e i 49 migranti erano stati chiusi nella stiva prima che l’imbarcazione salpasse per l’Europa.
◆ “Il 13 ottobre il governo italiano ha approvato un decreto che impone nuovi obblighi e restrizioni per arginare la pandemia”, scrive Bloomberg Businessweek. “Il provvedimento è stato preso perché nelle ultime settimane il numero di contagi giornalieri ha ricominciato a crescere dopo essere diminuito durante l’estate. Al momento la media dei nuovi contagi è di circa cinquemila al giorno”. Le limitazioni introdotte dal governo saranno in vigore dal 14 ottobre al 13 novembre.
Il provvedimento introduce delle fasce orarie per le attività di bar, ristoranti e altri locali che solitamente sono aperti fino a tardi: dovranno chiudere a mezzanotte, e dalle 21 sarà vietato bere e mangiare in piedi, quindi potranno restare aperti solo i locali che hanno dei tavoli, al chiuso o all’aperto. Inoltre sono vietate le feste private al chiuso o all’aperto ed è “fortemente raccomandato” di non ricevere in casa più di sei persone. In queste occasioni si raccomanda comunque di indossare la mascherina. Sono consentiti i pranzi e le cene legati a cerimonie religiose, come i matrimoni e i battesimi, ma con un limite di trenta invitati.
Tra le attività che non si potranno più svolgere ci sono le gite scolastiche e gli sport di contatto a livello amatoriale, mentre si potrà continuare a fare sport a livello agonistico. Gli stadi saranno riaperti, ma con una capienza massima del 15 per cento dei posti a sedere, e comunque gli spettatori non potranno essere più di mille all’aperto e duecento al chiuso. Gli stessi limiti valgono per gli spettacoli.
“Gli stessi giudici hanno accertato che sono stati altri trafficanti a mettere i migranti nella stiva. Il mio cliente non ha fatto niente di male”, afferma Cinzia Pecoraro, avvocata di Abdelkarim. “Questi uomini sono vittime di una grave ingiustizia e la sentenza di condanna è piena di contraddizioni”.
Le famiglie e gli amici sostengono che i quattro libici stavano fuggendo dalla guerra civile per continuare la carriera sportiva in Germania, e che sono stati costretti dai trafficanti a pilotare l’imbarcazione. Secondo un rapporto pubblicato nel 2017 da Borderline Sicilia, una ong che fornisce assistenza legale in materia d’immigrazione, nelle prigioni italiane ci sono molti migranti che “sono stati addestrati a pilotare le imbarcazioni e hanno subìto maltrattamenti e minacce di morte prima della partenza. Alcuni di loro sono minorenni”. Dopo che una corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado, l’ultima speranza per i detenuti libici è la corte di cassazione, il più alto tribunale italiano, che dovrebbe esaminare il caso nei prossimi mesi. “Non sono criminali”, ribadisce Hamed Nasser, zio di uno dei calciatori. “Rispettiamo la magistratura italiana, ma chiediamo ai giudici di considerare il lato umano della vicenda. Questi ragazzi hanno deciso di partire per costruirsi un futuro sportivo. Il loro passato è ricco di successi calcistici”.
Protesta a Roma
Il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio ha promesso che l’Italia “non si lascerà ricattare”, mentre il procuratore Carmelo Zuccaro, che guida le indagini, ha dichiarato che “uno scambio di prigionieri sarebbe vergognoso”.
La protesta dei familiari dei pescatori ha raggiunto Roma. Armati di cartelli e striscioni, hanno chiesto al governo italiano di fare tutto il possibile per riportare a casa i loro cari. A Bengasi, intanto, i parenti dei quattro calciatori continuano a battersi per la scarcerazione.
“Abbiamo scoperto che le autorità libiche hanno sequestrato un peschereccio italiano entrato nelle acque territoriali libiche, e che gli italiani stanno chiedendo il rilascio dell’equipaggio”, racconta Nasser. “È per questo che abbiamo deciso di manifestare davanti al porto di Bengasi. I nostri ragazzi sono in carcere in Italia dal 2015, accusati di crimini che non si sognerebbero mai di commettere”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati