Sono da poco passate le otto del mattino, il termometro segna 26 gradi all’ombra e Andreia Venâncio ha già fatto cinque volte avanti e indietro dalla cisterna comune dove riempie i secchi d’acqua per pulire, fare il bagno ai cinque figli (il più grande ha 16 anni) e cucinare quel poco che ha a disposizione. Ha 37 anni e cammina un po’ piegata verso destra per compensare il peso dei dieci litri d’acqua che si carica su una spalla. Fa il percorso da casa alla cisterna molte volte al giorno, ormai non riesce più a contarle. A Ocupaçao Esperança, nel municipio di Osasco, a quaranta minuti d’auto dal centro di São Paulo, l’acqua scarseggia.
“Da più di un mese non arriva in casa, per questo passo gran parte della giornata caricando secchi”, dice.
Venâncio riceve 510 real (circa 80 euro) dal programma Bolsa família e fino a dicembre del 2020 faceva affidamento sul sostegno d’emergenza di 600 real istituito dal governo brasiliano per aiutare i cittadini durante la pandemia. Con la sospensione dell’aiuto statale, a dicembre del 2020, la situazione è diventata più difficile.
“Mio marito trova ancora qualche lavoretto come operaio, ma i prezzi degli alimentari sono aumentati e non riusciamo più a comprare la carne. Ormai è un lusso. Perfino le uova, che prima potevamo permetterci e non mancavano mai in tavola, sono più care”, racconta Venâncio sulla soglia di casa, di fronte alle quattro vicine con cui condivide il vicolo. Le donne fanno segni di assenso con la testa. “Mancano anche il riso e i fagioli. Cerchiamo di arrangiarci, ci aiutiamo a vicenda. Alcuni giorni, quando il riso e i fagioli non ci sono, prepariamo solo la pasta con un po’ di farofa”, dice riferendosi alla farina di manioca fritta.
Il 18 marzo 2021 il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha firmato un decreto con le regole per accedere al nuovo sostegno governativo. Gli aiuti saranno suddivisi in quattro rate a partire da aprile e ne beneficeranno 45,6 milioni di persone, cioè 22,6 milioni in meno rispetto a quelle che avevano ricevuto i sostegni nel 2020. Anche i soldi saranno di meno, tra i 375 e i 150 real a seconda della composizione del nucleo familiare.
Venâncio fa parte dei quasi 117 milioni di brasiliani che negli ultimi tre mesi del 2020 hanno sperimentato la precarietà alimentare, una situazione che interessa il 55 per cento dei nuclei familiari del paese, secondo l’inchiesta nazionale sulla precarietà alimentare durante la pandemia realizzata dalla rete brasiliana di ricerca sulla sovranità e la sicurezza alimentare e nutrizionale (rete Pensann). Lo stesso documento indica che il 9 per cento dei brasiliani ha affrontato una situazione di grave precarietà alimentare, cioè 19 milioni di persone hanno sofferto la fame. È un dato che riporta il Brasile ai livelli del 2004, quasi un anno dopo il lancio del programma statale Fome zero (Fame zero) durante il governo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva.
Solidarietà di quartiere
La situazione di Andreia Venâncio non è la più grave a Ocupaçao Esperança. La casa in cui vive è una delle poche costruite in cemento sulla collina di 48mila metri quadrati che fu occupata nel 2013 da cinquecento famiglie, ma che ancora sfugge alle mappe dei satelliti. Oggi in ogni lotto di terra vivono tre o quattro famiglie che si dividono baracche di legno e cartone. Anche se il comune di Osasco non riconosce l’insediamento, in alcune case arriva l’acqua della partecipata Sabesp, anche se poca. Ma la maggior parte dell’acqua viene dalla cisterna di ventimila litri (non è mai piena fino all’orlo) comprata con i soldi di tutti gli abitanti. È lì che le donne e i ragazzini della zona vanno giorno e notte con i secchi vuoti.
Senz’acqua, manca quasi tutto. “Gli abitanti della favela sopravvivevano grazie a piccoli lavori a giornata, nessuno aveva un impiego con un contratto regolare e la busta paga”, dice Maura Lopes, 49 anni, una delle leader della comunità. “Con la crisi sanitaria molti sono rimasti disoccupati e oggi dipendono dai sostegni pubblici. Pensavamo che quest’anno i contagi di covid-19 sarebbero diminuiti, che tutti i brasiliani sarebbero stati vaccinati e che saremmo tornati alla routine di sempre, ma non è andata così”, aggiunge. Il posto che prima era destinato al suo piccolo bar ora è diventato la cucina di casa, dove Lopes vive con il marito e i tre figli. È lei che si occupa di organizzare i pochi “cestini” con i generi di prima necessità che vengono donati agli abitanti della zona. Dentro ci sono caffè, zucchero, riso, olio e fagioli. Non è un compito facile. “Come si fa a scegliere tra più di cinquecento famiglie le trenta che riceveranno un cestino?”, chiede. “Cerchiamo di dare la priorità alle madri sole, senza lavoro, che fanno affidamento solo su queste donazioni. È molto triste vedere una madre di famiglia scendere dalla favela per chiedere almeno una confezione di riso per poter sfamare i figli”, dice Lopes. Lei è originaria del Maranhão, nel nordest del paese. Ha i capelli ricci tinti di rosso, e quando parla della solidarietà comunitaria ha un sorriso largo che s’intuisce anche sotto la mascherina.
Ora anche i cestini con gli aiuti scarseggiano e gli abitanti sopravvivono grazie alla solidarietà reciproca. Chi ha del riso lo scambia per un po’ di fagioli. Chi ha un po’ più d’acqua, riempie un secchio per chi ne ha bisogno. “Vige il motto ‘uno per tutti e tutti per uno’”, dice Lopes mentre alle sue spalle si sentono sfrigolare i fagioli nella padella elettrica. La bombola del gas è finita da tre giorni e per ora non può comprarne un’altra. Nel 2020 Lopes ha avuto il covid-19 e a marzo di quest’anno si è ammalata di nuovo. Prima guadagnava qualcosa stirando a ore nella tintoria dove era impiegato il marito, poi è dovuta restare in casa.
“Mio figlio maggiore – ha 21 anni e lavora in un’azienda informatica – si è trasformato nel capofamiglia. È lui che ci ha sostenuti quando siamo rimasti disoccupati”, racconta Lopes attraversando la favela lungo una salita ripida tra terra battuta e laterizi, con vista su tutta la città di São Paulo.
La leader comunitaria si ferma solo per evitare un rigagnolo di acqua di fogna uscito da una tubatura rotta che sparge escrementi nei vicoli. L’odore impregna l’aria, ma non impedisce alle persone di andare avanti e indietro per prendere l’acqua dalla cisterna.
La mamma di tutti
È quasi l’ora di pranzo e bisogna cucinare. “Con i 150 real del nuovo sostegno statale non ce la facciamo, rischiamo di morire di fame”, afferma Marinalva Souza detta Naná, 49 anni. “Cinque chili di riso costano 40 real (circa 6 euro), una lattina d’olio ne costa 10 e la confezione di uova che prima compravi per 6 real ora costa più del doppio”, dice. Il marito era impiegato in una vetreria, ma è stato licenziato all’inizio della pandemia.
Lei faceva il bucato per le donne e madri della comunità, che lavoravano come impiegate domestiche. Oggi non ha più nessun’entrata. “Non guadagnavo molto, ma riuscivo a sopravvivere. Ora non ho reddito, perché anche le mie clienti sono rimaste senza lavoro. Viviamo grazie alle donazioni dell’associazione degli abitanti”, dice.
Naná, con sei figli che vivono lontano, è un po’ la mamma di tutti a Ocupaçao Esperança. Quando il medico non viene, è lei che prescrive un infuso di sabugueiro (sambuco), una pianta medicinale che aiuta a curare la tosse e l’asma nei bambini e negli adulti. “Questa pianta è stata la nostra salvezza”, dice mentre riempie con l’acqua della sua piccola cisterna bottiglie di plastica da regalare. Poi se la prende con il governo e i politici: “I soldi mancano solo per la povera gente che lavora. Mentre ci danno questi 150 real di sostegno, loro si comprano ville da sei milioni”, dice alludendo all’immobile acquistato dal senatore Flávio Bolsonaro, figlio del presidente brasiliano, sotto inchiesta per riciclaggio.
“Non c’è lavoro e non c’è il vaccino. Il nostro destino è morire di fame dentro casa”, aggiunge. Naná non ha i soldi neanche per comprare una banana, ma si emoziona parlando delle famiglie numerose che vivono situazioni più difficili di quella sua e del suo compagno. “In qualche modo noi ci arrangiamo. Ma una madre di famiglia con tre o cinque figli vede i suoi bambini piangere senza poterli sfamare”.
È il caso di Ana Teresa Couto, 39 anni, che ha due figli di 4 e 3 anni. Mentre scalda l’acqua – con un allaccio elettrico improvvisato – per fare il bagno ai bambini, racconta che i 234 real del programma Bolsa família bastano per comprare il latte e qualche proteina. “In più mi avanza qualcosa per prendere dei biscotti. Riusciamo a comprare a credito al mercatino della comunità, ma la volta successiva dobbiamo pagare”, dice mentre finisce anche il secondo secchio d’acqua per lavare il pavimento. La casa consiste in una stanza che comprende la sala e la cucina e in una camera con il letto, divisa dalla latrina da una tenda.
Oltre ai bambini con Couto vive il marito, fabbro saldatore che all’inizio del 2021 ha avuto un incidente di auto e si è rotto il bacino. Ma esce comunque tutti i giorni alla ricerca di lavoro. “La situazione era già difficile prima della pandemia, ora è peggiorata. Non posso lavorare perché i bambini non vanno a scuola. Mio marito trova un impiego saltuario ogni tanto, perché con il covid-19 le persone hanno paura di farlo lavorare in casa”, spiega.
Costretti a scegliere
Alcuni vicoli più in basso vive Rose Pereira, madre sola con tre figlie di 3, 4 e 9 anni, che fa affidamento esclusivamente sulla generosità della comunità. La sua baracca è formata da un’unica stanza con un letto matrimoniale, un lavandino, un lavabo per fare il bucato e un fornello con due fuochi e una padella elettrica. Non ci sono giocattoli sul pavimento. Prima della crisi sanitaria Pereira lavorava come domestica e capita ancora che vada a fare il bucato per qualche famiglia fuori dalla favela.
“Ricevo 310 real dalla Bolsa família, ma non mi bastano”, spiega smettendo per un momento di lavare i vestiti. “Da quando il governo ha sospeso gli aiuti ho fatto la spesa una sola volta. Approfitto dei cestini che arrivano con le donazioni. Le bambine ricevono molti vestiti di seconda mano, a volte ne tengo da parte qualcuno per chi non ne ha. Non è il caso di accumulare roba qui dentro”, dice. Ha solo 37 anni ma non ha più denti.
Con i pochi soldi che ha Pereira riesce a comprare pane, latte, un po’ di fagioli e una confezione di uova. Quando le figlie chiedono “un biscotto o una merendina di quelle che piacciono ai bambini”, li compra a credito in uno dei mercati della comunità. “Mi indebito per mangiare. Quando ricevo i soldi della Bolsa família giro tutto al mercatino e pago quello che mangerò durante il mese. Ma a quel punto resto senza niente. È difficile”, ammette. All’inizio della mattinata il gas è terminato e Pereira deve cuocere il riso nella padella elettrica, dove frigge anche un po’ di fagioli. È quello che lei e le figlie mangeranno per i prossimi tre giorni.
Tra il mangiare e il gas, Luciene da Rocha, 30 anni, ha dovuto scegliere. Madre di tre bambini di 12, 9 e 4 anni, e con un marito camionista disoccupato, la donna deve usare il forno a legna. “La cucina a gas è lì da una parte, fa perfino tristezza a guardarla”, dice ridendo. È di buon umore nonostante la situazione. A ottobre ha smesso di pagare l’affitto e si è trasferita in una baracca in un’area occupata in campagna, a circa quindici minuti di auto da Ocupaçao Esperança. Oltre a una veranda con la cucina, c’è un orto dove razzolano cigni, capre e galline. Tra gli alberi che svettano di fronte alla casa sono attaccate un’amaca e un’altalena per i bambini, anche se loro preferiscono restare in casa, sdraiati sul divano davanti alla televisione.
“Nel 2020 ho ricevuto il sostegno del governo, ma questa volta mio marito non è riuscito a registrarsi. Quindi posso contare solo sulla Bolsa família e devo cucinare con lo strutto perché non mi posso permettere l’olio, che costa 10 real”, dice. “Il problema di cucinare a legna è il fumo, ma alla fine ci si abitua. Alleviamo qualche gallina per mangiare le uova. Vendo l’insalata dell’orto e con il ricavato compro qualche proteina, magari del pollo”, racconta. Almeno in campagna l’acqua non manca.
Invece Lucimar Farias, che è ancora convalescente per un parto cesareo avuto due mesi fa, non può evitare di portare il peso del secchio d’acqua. “Nonostante l’intervento mi devo arrangiare”, dice in tono sbrigativo.
Farias ha tre figlie, la più grande ha 14 anni, la più piccola è in braccio alla sorella di sei anni. È contenta della sua casa di cemento di due piani, anche se non è terminata: in basso ci sono la sala, la cucina e il bagno. Al piano superiore le stanze. “Mio marito era disoccupato, ma ha trovato lavoro come muratore. Negli ultimi mesi abbiamo vissuto solo con i sostegni del governo”, racconta. Il pomeriggio sta finendo e il viavai alla cisterna continua.
Ocupaçao Esperança è diventato un microcosmo del Brasile di chi non ha lavoro e soffre la fame. Dove manca l’acqua, manca tutto. ◆ar
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Questo articolo è uscito sul numero 1406 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati