Per la maggior parte degli ucraini l’invasione russa ha diviso la vita in un “prima” e in un “dopo”. Io non faccio eccezione. Fino al 2022 ero viceprocuratore generale dell’Ucraina. Oggi servo nelle forze armate, occupandomi di questioni relative al diritto di guerra, inclusa la raccolta di prove forensi. Per un periodo ho vissuto in un rifugio vicino a Pokrovsk, assistendo in prima persona alla coraggiosa difesa del paese fatta dalla sua gente. Le nostre perdite sono enormi. Non c’è quasi tempo per riflettere. Eppure, non riesco a smettere di pensare al mio lavoro precedente, in particolare alla debolezza della giustizia internazionale. La Russia cerca di evitare ogni responsabilità per i suoi crimini. E in una certa misura ci sta riuscendo.
L’Ucraina e i suoi alleati stanno attualmente valutando un piano di pace russo-statunitense che prevede la “piena amnistia per le azioni di guerra”. Se un misura del genere fosse adottata, garantirebbe l’impunità agli aggressori e minerebbe le basi dell’ordine giuridico internazionale. Per comprendere pienamente la posta in gioco, vale la pena ricordare il percorso fatto dall’Ucraina.
Prima dell’invasione del 2022 organizzavo e coordinavo le indagini sui crimini di guerra. Ho cominciato nel 2016 come procuratore nella repubblica autonoma di Crimea. All’epoca in Ucraina non si faceva un lavoro sistematico sui crimini internazionali. Perfino la classificazione legale degli eventi di allora era, per usare un eufemismo, imprecisa. In quegli anni ero convinto che se avessimo raccolto prove sufficienti – documentando ogni edificio distrutto, ogni civile ferito, ogni uccisione extragiudiziale – la giustizia avrebbe prevalso. Ma tutto si è rivelato molto più complicato.
Il tentativo di garantire la giustizia è sempre stato una sfida per la comunità internazionale e spesso è stato percepito come prerogativa dei “vincitori”. Ma in tempo di guerre ibride, identificare i vincitori è difficile. La situazione diventa ancora più complicata quando ci si aspetta che sia il paese attaccato a perseguire l’aggressore. Ai tribunali ucraini mancano la capacità istituzionale e la legittimità internazionale necessarie per questi processi. Indagare su centinaia di migliaia di episodi richiede il coinvolgimento di un meccanismo internazionale credibile.
Alcuni modelli proposti possono sembrare convincenti sulla carta, ma è improbabile che reggano nella pratica. Per esempio, potrebbe sembrare logico creare un tribunale regionale sotto la supervisione del Consiglio d’Europa, tuttavia la sua giurisdizione sarebbe limitata e perfino attivarlo sarebbe molto complicato.
Una soluzione potrebbe essere la creazione di un meccanismo di giustizia ibrido che copra l’intero spettro dei reati internazionali: aggressione, genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Questi modelli di collaborazione non solo garantiscono l’applicazione del diritto, ma rafforzano le istituzioni giuridiche nazionali.
I valori e le regole
Oggi che si torna a parlare di un piano per il cessate il fuoco, una cosa dev’essere chiara: non può esserci vera pace senza giustizia. E la giustizia per l’Ucraina è giustizia per il mondo. Perché, se uno stato dotato di armi nucleari può invadere un altro paese e commettere atrocità senza pagarne le conseguenze, a cosa serve il diritto internazionale?
La giustizia penale internazionale era in difficoltà già prima del 2022. L’occidente era piuttosto tollerante con le sue violazioni, come in Iraq e a Guantanamo, e la Corte penale internazionale (Cpi) si dimostrava spesso impotente, troppo cauta per indagare sui paesi più potenti. Oggi la crisi del sistema è sotto gli occhi di tutti. La Mongolia e il Tagikistan hanno rifiutato di eseguire il mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin. Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni ai funzionari della Cpi, e l’Ungheria ha di fatto interrotto la sua cooperazione con la corte. Queste azioni minano la credibilità dell’unico tribunale permanente incaricato di perseguire i crimini più gravi. La Cpi deve anche affrontare problemi interni. La vicenda del procuratore capo Karim Khan, che si è autosospeso dall’incarico dopo essere stato accusato di molestie sessuali, rappresenta un’ulteriore crepa nella fragile struttura della giustizia internazionale.
La Cpi può emettere mandati di arresto, ma se non sono eseguiti le misure restano in gran parte simboliche. E se la Corte non è in grado di garantire che le sue decisioni siano rispettate, quale speranza può avere un tribunale appena istituito? La Russia e altri paesi stanno attivamente minando il concetto stesso di giurisdizione universale. Ridicolizzano la Cpi, minacciano i suoi giudici e si nascondono dietro la diplomazia. Se l’impunità diventa la norma, la giustizia internazionale perde ogni significato.
Eppure ho ancora fiducia. In Ucraina continuiamo a raccogliere prove. Vicino a Pokrovsk ho visto le forze russe sparare a bruciapelo a prigionieri ucraini. Ho visto uccidere soldati ucraini feriti e incapaci di opporre resistenza. Questa brutalità ci spinge a concentrarci sulla ricerca della giustizia.
La guerra in Ucraina mette alla prova l’ordine giuridico internazionale. Se questi crimini rimarranno impuniti, il messaggio sarà chiaro: la forza prevale sul diritto e i confini di uno stato possono essere ridisegnati con la violenza. La realtà è che l’Ucraina non può difendere la giustizia da sola. La comunità internazionale deve far rispettare i valori e le regole che dice di sostenere. La dignità umana e la giustizia hanno valore se sono fondate su integrità, lungimiranza e su un vero impegno in loro difesa. Solo praticando queste virtù, e non limitandosi a proclamarle, si può preservare l’ordine giuridico e morale che sostiene un mondo libero. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1642 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati