Le abitudini di Stephany Rejani sono cambiate nell’ultimo anno. Prima della pandemia di covid-19 questa ragazza brasiliana di vent’anni, dall’aspetto di un’adolescente, riusciva a conciliare gli studi in una scuola secondaria pubblica con i lavori domestici. Ma quando alla metà di marzo del 2020 il governo dello stato di São Paulo ha chiuso le scuole, Rejani ha smesso di studiare per dedicarsi solo alla casa. “Non studio più da un anno. Passo tutto il giorno a pulire e a cucinare. Mentre mia madre è al lavoro mi occupo di mio fratello, che ha dodici anni, e di mio figlio, che ne ha tre”, dice Rejani nella favela di Jardim Lapena. La crisi sanitaria l’ha relegata a un ruolo che da sempre tocca alle donne: occuparsi della casa.

Rejani non è un’eccezione. Con la pandemia migliaia di bambine e adolescenti povere delle periferie del Brasile hanno abbandonato gli studi e messo da parte i loro sogni per gestire la casa e assistere le sorelle o i fratelli più piccoli.

Offerta precaria

L’ong Plan international Brasil, che si occupa dei diritti dell’infanzia, ha svolto un sondaggio su un centinaio di ragazze che partecipano a uno dei suoi progetti. “Il 98 per cento svolge qualche faccenda domestica. Prima della pandemia lo faceva il 57 per cento”, afferma Nicole Campos, una delle responsabili dell’organizzazione.

L’Uneafro, un movimento sociale che promuove l’educazione dei giovani neri e nelle periferie disagiate, offre corsi gra­tuiti per prepararsi agli esami di ammissione all’università. Questi corsi integrano quelli offerti negli istituti pubblici, che spesso sono di livello molto basso. “Le ragazze sono più interessate e coinvolte. Sono sempre state più presenti dei maschi”, dice Arlene Ramos, coordinatrice del nucleo digitale.

Il nucleo è nato durante la pandemia per gestire la didattica a distanza. Ramos dice che è come “montare su un aereo in volo”. Non si sono limitati a fare lezioni online di matematica o chimica. Durante il 2020, con le scuole chiuse, hanno capito che bisognava organizzare dei dibattiti in videoconferenza per stare vicino agli studenti. Nelle discussioni sono stati affrontati temi come il femminismo e la salute mentale.

“Il lavoro domestico è stato uno dei principali ostacoli alla frequenza delle lezioni e al rendimento accademico, soprattutto nel caso delle ragazze”, spiega Ramos. Il carico è aumentato: “Le bambine e le ragazze sono rimaste chiuse in casa e gli è stato chiesto di aiutare di più”, dice.

Per molti è una situazione normale, perché il lavoro domestico non è mai stato considerato tale. “Quando chiediamo agli studenti se lavorano e quante ore al giorno, chi si occupa della casa non dice niente. Cucinano e si prendono cura dei fratelli, ma non considerano il loro impegno un lavoro”, dice Ramos. Un altro problema è che negli istituti pubblici, frequentati dalla maggioranza dei giovani brasiliani, l’offerta di lezioni a distanza è stata piuttosto precaria. “L’esclusione digitale è una realtà per le famiglie più vulnerabili. E in quegli ambienti di solito le ragazze non hanno accesso a internet come i ragazzi. La socializzazione e l’istruzione delle ragazze sono considerate meno importanti”, spiega Campos, di Plan international Brasil.

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) calcola che in Brasile a 5,5 milioni di bambini e bambine è stato negato il diritto all’istruzione. Stephany Rejani è una di loro. Già prima del covid-19 nella sua scuola c’erano problemi strutturali, come la mancanza di professori. “Quando è cominciata la pandemia la scuola non ha creato dei gruppi di studio online e non ha previsto piattaforme digitali per le lezioni. Nessuno voleva più studiare. A casa non abbiamo un computer, solo due cellulari. È difficile fare i compiti così”, racconta la ragazza.

Da sapere
Ancora indietro
Percentuale di studenti di 15 anni che hanno accesso a strumenti tecnologici in casa, 2018  (Fonte: Cepal)

Perdere la motivazione

La maternità in età adolescenziale è comune tra le giovani delle favelas. Rejani ha partorito a 17 anni. Il padre del figlio l’aiuta solo dandole 250 real al mese, circa 45 euro. Anche il padre di Rejani non c’è, e la madre lavora facendo le pulizie in un asilo. Il suo stipendio (circa 1.100 real, equivalenti a 200 euro) non basta per pagare da mangiare, la luce e internet. Da sola non riesce a mantenere tutta la famiglia.

Così Rejani, oltre ad aiutare in casa, ha cominciato a lavorare come baby-sitter per contribuire al reddito della famiglia. A quel punto gli studi hanno smesso di essere una priorità.

Cile
Eccezione fortunata

◆ A Santiago, dove c’è una divisione netta tra quartieri ricchi e zone povere, pochi spazi riuniscono persone provenienti da contesti diversi. La scuola San Ignacio de Alonso Ovalle, situata nel centro storico della città a pochi minuti a piedi dal palazzo presidenziale della Moneda, è uno dei pochi istituti privati aperti anche a ragazze e ragazzi con meno risorse economiche. Fu fondato nel 1856 dai gesuiti.

La retta mensile si aggira intorno ai 460 dollari, quindi non è accessibile a tutti, ma sono previste borse di studio e aiuti specifici agli alunni in difficoltà. L’obiettivo è rompere con l’omogeneità che caratterizza l’educazione di eccellenza nel paese sudamericano, anche se con la pandemia alcune famiglie hanno dovuto ritirare i figli dalla scuola.

Il preside Danilo Frías, il secondo laico alla guida dell’istituto in 165 anni di storia, spiega che “le famiglie hanno avuto ripercussioni fisiche ed emotive. Nessuno è preparato a vivere con gli altri dentro casa facendo più lavori allo stesso tempo, e questa situazione pesa sulle relazioni tra genitori e figli”.

Ma non è vero, aggiunge, che le famiglie con meno risorse economiche hanno avuto più problemi. La scuola ha fornito computer e tablet, ha garantito una connessione internet a chi non l’aveva e ha messo a disposizione psicologi, professori e pedagogisti per seguire individualmente chi era in difficoltà. Lo ha fatto con la piattaforma Radar Escolar, che analizzando alcuni dati – per esempio la partecipazione e il rendimento scolastico – individuava le situazioni più delicate. In passato l’istituto formava i figli dell’aristocrazia cilena, ma oggi uno dei suoi obiettivi è fare in modo che ragazze e ragazzi acquistino una chiara coscienza sociale. Non solo per gestire meglio gli effetti della pandemia, ma anche perché il Cile è nel pieno di un processo di trasformazione profonda, che dovrebbe portare a riscrivere la costituzione approvata durante la dittatura militare di Augusto Pinochet. Rocío Montes, El País


La chiusura delle scuole è stata un duro colpo per molte famiglie in una situazione di fragilità, costrette a lasciare i figli più piccoli a scuola per permettere agli adulti di andare a lavorare. In molti casi è toccato alle figlie più grandi prendersi cura dei fratelli. “Pulisco la casa e preparo piatti semplici, come riso e fagioli”, racconta Rejani. Il risultato di questa situazione è che a vent’anni la ragazza non ha ancora finito le superiori. “Dobbiamo imparare e sviluppare le nostre capacità, ma è difficile con una didattica precaria”, dice. Un giorno spera di andare all’università e di studiare pedagogia. “Mi piacciono i bambini”, afferma.

Mantenere la motivazione in queste ragazze è una delle sfide più complicate. “Il disinteresse verso la scuola o la rinuncia a seguire le lezioni dipendono dalla difficoltà di mantenere una routine di studio a casa. Al lavoro domestico si aggiunge la mancanza di sostegno da parte della famiglia. I genitori di queste ragazze lavorano e spesso hanno avuto un’esperienza difficile con la scuola. Molti sperano che i figli trovino un lavoro e mettano su famiglia”, spiega Ramos, di Uneafro.

Nel 2020 il movimento ha firmato un accordo con un’università privata per formare gruppi di ascolto e di sostegno gestiti dagli studenti di psicologia e rivolti a chi preparava gli esami. “Le ragazze sono angosciate dallo studio, perché hanno molte incombenze domestiche e il più delle volte non sono incoraggiate dalla famiglia”, spiega Ramos.

Plan international, che prima della pandemia aveva coinvolto diecimila famiglie nei suoi progetti, ha spostato tutto online. “Parliamo di violenza infantile, di diritti delle donne, di diritti sessuali e riproduttivi”, spiega Campos. È un modo per incoraggiare e proteggere le ragazze. “Spieghiamo anche che la violenza sessuale avviene soprattutto tra le mura di casa. Con le restrizioni sono aumentate le denunce di abusi, ma anche la depressione e l’ansia. E ci sono stati molti episodi di automutilazione”.

Rejani non è ancora tornata a scuola. È sicura che non parteciperà più alle iniziative “per giovani” organizzate nella sua comunità. In passato ha giocato a calcio e a scacchi, ha suonato le percussioni e ha seguito un corso di circo proposto dalle associazioni sociali che lavorano a Jardim Lapena. “Non penso che potrò riprendere quelle attività. È ora di fare cose da adulti, come studiare informatica e inglese”, dice. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati