Il bla bla bla di Greta aveva già dato il meglio di sé nel finale della Grande bellezza di Paolo Sorrentino. Lì il bla era così ignobilmente bla che si meritava di essere ripetuto da Toni Servillo – nel ruolo dello scrittore Jep Gambardella che, notte dietro notte, lo attraversava – non due (blablà) e nemmeno tre (blablablà), ma quattro o cinque volte e con sarcastica scansione: bla-bla-bla-bla-bla. Riascoltate quell’ultimo monologo di Gambardella: la bruttezza è considerata ormai così debordante, così capace di inghiottire anche i rarissimi scampoli di bellezza, che i trucchi per nasconderla e nascondercela, i blablablà sempre utili per stordire e stordirci, devono essere continuamente rafforzati. L’affondo di Gambardella ebbe successo, all’epoca, si trattava tutto sommato di estetica. L’affondo di Greta sta diventando, invece, sempre più un problema. Il suo blablablà è sinonimo di trucco infame, tanto che, una volta struccati, i grandi del mondo si svelano piccole miserabili persone il cui chiacchiericcio copre i bruttissimi, letali interessi di un sistema che sta portando da tempo il genere umano alla rovina. Siamo ben oltre il fine Jep Gambardella, siamo nel pieno del più insanabile conflitto politico-economico. Sicché è prevedibile che Greta non avrà Oscar o Nobel. Il ministro Cingolani, lungimirante, le ha già assegnato, di fatto, il titolo di eversiva.
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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati