◆ Prima, si sa, abbiamo fatto ampio ricorso alle metafore belliche: il virus era il nemico e noi, amiconi come non mai, ci battevamo valorosamente per sgominarlo, elevare monumenti ai fin troppo numerosi caduti e darci poi a una profittevolissima ricostruzione del paese devastato. Il punto più alto di questa retorica del combattimento è stato l’avvento del generale Figliuolo, figura lui stesso dell’efficienza battagliera e della vittoria. In parallelo ci siamo buttati sulla tenebra dei tunnel, immagine che ci è piaciuta moltissimo, quasi quanto quella della guerra, anche perché richiedeva scarso impegno, bastava solo aguzzare lo sguardo per vedere se in fondo compariva la luce. Quando la luce è comparsa – cioè Mario Draghi – il tunnel lo abbiamo, meno male, messo da parte, anche perché era metafora fin troppo abusata e non se ne poteva più. Oggi pare che stia acquistando qualche punto la figura della tempesta. Il vocabolo trionfa in due titoli di libri freschi di stampa. Il primo, Danzando nella tempesta di Antonella Viola, celebra il guscio agile ed elegante della scienza che giostra tra i flutti virulenti. Il secondo, Oltre la tempesta di Paolo Crepet, evoca lo sguardo lungo del marinaio che si prepara a nuove rotte audaci. Il tutto mentre irrompe il sereno, ogni cor si rallegra, gli augelli fan festa e la gallina, tornata in su la via, ripete il suo verso.
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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati