◆ Qui non si parla delle varie caporetto vaccinali (alla retorica bellica si fa fatica a sottrarsi, anche a causa della presenza in uniforme del generale Figliuolo; viene solo da chiedersi se le nostre centododicimila intollerabili morti per covid vadano considerate violente o naturali). Qui si parla di idillio. Una volontaria, alla radio, diceva giorni fa di come erano lieti gli anziani quando finalmente venivano vaccinati. Raccontava: ci sono grati, ci portano cioccolata e pizza. Ho verificato di persona, è vero. Nel Lazio, a Roma, quartiere borghese, mi è stata iniettata la prima dose di vaccino in un clima di grazie, prego, si accomodi, ci scusi per l’attesa, preferisce il sinistro o il destro, già fatto, grazie ancora, si ricordi l’appuntamento per la seconda dose. Me lo ricordo eccome, non vedo l’ora di tornare, la prossima volta porto anch’io la cioccolata e la pizza. E, devo ammettere, non tanto per il sollievo di completare la vaccinazione, quanto per sperimentare ancora questa giovane cortesia efficiente. All’uscita ho sentito ultrasettantenni come me telefonare increduli ai parenti: mai sperimentata una tale accoglienza. Volevamo passare tutti la vita che ci resta nel centro vaccinale, fuori dal caos politicoeconomicosocialsanitario, e chiederci intanto perché mai ogni possibile servizio di pubblica utilità non debba funzionare per sempre con lo stesso garbo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati