La presenza delle mafie italiane in Colombia non passa più inosservata. Negli ultimi mesi gli arresti di alcuni boss di organizzazioni criminali come la camorra e la ’ndrangheta hanno evidenziato un grande interesse delle cosche per il paese sudamericano, il maggior produttore di cocaina del mondo. Vista la grande domanda internazionale di questa sostanza i criminali cercano forniture dirette, senza intermediari, per ridurre i costi. Lo fanno con la collaborazione di gruppi locali come il Gulf clan (clan del Golfo), che facilita il transito della droga verso l’Europa e il resto del mondo.
L’arresto più recente è stato quello di Emanuele Gregorini, detto Dollarino, ricercato in più di 190 paesi dall’Interpol (l’organizzazione internazionale di polizia criminale). Gregorini è stato arrestato a Cartagena de Indias, dove era il leader regionale del sistema mafioso lombardo, una rete criminale di cui fanno parte le mafie italiane più potenti: camorra, cosa nostra e ’ndrangheta. Gregorini gestiva il trasporto di droga da Colombia, Panamá e Brasile verso l’Europa.
Alcuni mesi prima a Medellín erano stati arrestati due camorristi, Gustavo Nocella e Luigi Belvedere. Il primo, detto Ermes, era anche lui un uomo chiave del narcotraffico e coordinava la “logistica per preparare e conservare il cloridrato di cocaina (cocaina purissima) diretto dalla Colombia ad Amsterdam su barche a vela o a motore”, hanno spiegato le autorità. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha dichiarato che la cattura di Nocella è il risultato di un lavoro di sei mesi dalla polizia colombiana in collaborazione con i carabinieri italiani e l’Europol. “La lotta contro il narcotraffico deve prendere di mira i capi”, ha aggiunto Petro. Belvedere era considerato dalle autorità italiane uno dei latitanti più pericolosi in circolazione. È stato rintracciato a Medellín grazie a una foto che aveva scattato sulla tomba del narcotrafficante Pablo Escobar. Il suo compito era garantire un collegamento con il clan del Golfo, a cui Belvedere aveva offerto 750mila dollari per un piano di fuga che però non si è mai concretizzato.
Trattare direttamente
In Colombia la mafia italiana ha trovato una roccaforte per le operazioni di narcotraffico, spiegano gli esperti. Sara García, che lavora per la rivista specializzata Insight Crime, sottolinea che “considerazioni logistiche” portano le reti internazionali a usare la Colombia come piattaforma per l’attività in Sudamerica. “Le mafie hanno preso contatto con dei criminali che alimentano l’economia del narcotraffico, tra loro c’è chi si occupa della logistica e chi del trasporto”, spiega García. Secondo l’esperta, negli ultimi anni c’è stato un cambiamento importante: le mafie hanno deciso di trattare direttamente l’acquisto di cocaina, per abbattere i costi e per avere un prodotto di qualità migliore. In passato era diverso: negli anni settanta e ottanta i criminali italiani negoziavano con i cartelli colombiani di Medellín e Cali, ma dopo la scomparsa di queste grandi strutture le mafie italiane hanno comprato la droga direttamente. “Hanno degli emissari che arrivano in Colombia per fare gli acquisti di persona. Coordinano la logistica e verificano la quantità di droga”, aggiunge García.
In ogni caso un buon rapporto tra i mafiosi e i criminali locali resta fondamentale. Negli anni novanta gli interlocutori erano le Autodefensas unidas de Colombia (Auc), dei gruppi paramilitari guidati da Salvatore Mancuso Gómez, figlio di un immigrato italiano. La ’ndrangheta comprava grandi quantità di droga prodotta dalle Auc e contribuiva al riciclaggio di denaro con investimenti in varie attività, compresi i ristoranti. Secondo la relazione del 2008 della commissione parlamentare italiana sulla criminalità organizzata, la ’ndrangheta aveva un ottimo rapporto con i cartelli colombiani perché offriva “assoluta affidabilità” e “più garanzie di altre mafie”.
Dopo lo smantellamento delle Auc, vent’anni fa, il clan del Golfo è diventato il canale di collegamento per le mafie italiane in Colombia. Anche se gli europei cercano di non usare gli intermediari, non vogliono scatenare una guerra con la criminalità locale.
Juan Carlos Ruiz Vasquez, professore dell’Universidad del Rosario ed esperto di sicurezza, sottolinea che alcuni collegamenti sono indispensabili: “A un certo punto, si vociferava che i cartelli messicani volessero impossessarsi del mercato colombiano. Sarebbe molto difficile. È difficile anche che le mafie stiano cercando di spodestare i colombiani. Stanno solo proteggendo il prodotto e cercando di esportarlo in modo più sicuro”.
Domanda in aumento
Nonostante gli sforzi fatti nell’ultimo decennio dal governo colombiano per contrastare la produzione e il traffico di cocaina, i dati rivelano che l’attività è aumentata. Secondo le Nazioni Unite, in Colombia ci sono 253mila ettari di terreni dedicati alla coltivazione di coca, il quintuplo rispetto al 2013.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e del crimine (Unodc) ritiene che il potenziale di produzione di cocaina della Colombia sia aumentato del 53 per cento tra il 2022 e il 2023. In questo contesto è diventato più facile per le mafie soddisfare la domanda di cocaina. Secondo l’Unodc, la domanda continua a crescere in Europa, Asia, Oceania e Africa, nonostante l’espansione delle droghe sintetiche. “Fino a quando la domanda sarà così alta le reti mafiose europee stringeranno alleanze con le organizzazioni colombiane”, garantisce García.
La posizione privilegiata nel mercato delle droghe ha trasformato la Colombia in un centro per le reti criminali straniere. Secondo Ruiz, le autorità colombiane hanno registrato la presenza di mafie italiane, messicane, russe, turche e albanesi In ogni caso gli arresti recenti di criminali italiani sono stati presentati dal governo di Bogotá come un grande successo e un duro colpo alla criminalità transnazionale. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati