“Immaginate come sarebbe per un afroamericano apprendere della schiavitù quando ha già 24 anni. Oppure per un ebreo conoscere l’esistenza dell’olocausto dopo aver fatto l’esame di maturità. È una cosa impensabile, eppure capita spesso ai rom con la loro storia”, ha detto Ioanida Costache, dottoranda alla Stanford university, negli Stati Uniti, e attivista per i diritti dei rom, durante la conferenza The power of storytelling, nel 2019.

Ioanida ha raccontato che aveva 24 anni quando è andata ad Auschwitz e ha conosciuto per la prima volta gli orrori che subirono i suoi antenati. Fino a quel momento aveva vissuto negli Stati Uniti. Ma, anche se fosse rimasta in Romania, le possibilità di sapere dell’olocausto dei rom durante la seconda guerra mondiale, oppure dei cinquecento anni di schiavitù vissuta dal suo popolo in territorio romeno, sarebbero state comunque minime. Perché la storia dei rom non si studia a scuola, e raramente se ne parla nei dibattiti pubblici.

Compagni di scuola

La storia delle minoranze non è ancora stata introdotta nelle scuole romene. Intanto l’associazione Cu alte cuvinte (Con altre parole) sta lavorando al primo libro illustrato sulla storia dei rom, pensato per i bambini. L’associazione ha già pubblicato il libro illustrato Povestea kendamei pierdute _(La storia della kendama perduta), il primo con personaggi rom creato da autori romeni e ispirato ai racconti di dodici bambini del difficile quartiere di Ferentari, a Bucarest; e _Nanata, un racconto sull’accoglienza dei fratelli più piccoli come metafora per educare all’accettazione reciproca e all’empatia.

L’associazione ha organizzato una raccolta fondi internazionale per realizzare il libro (nel progetto sono coinvolti uno scrittore, uno storico rom e un illustratore). Uno dei motivi che mi hanno spinta a partecipare è il fatto che, pur essendo cresciuta accanto a bambini rom, nel quartiere di Rahova, a Bucarest, non ho mai saputo nulla della loro storia, delle loro radici.

Non sapevo niente delle origini del mio compagno di classe Cosmin, relegato all’ultimo banco, da solo, una delle forme di segregazione di cui sono ancora vittime i bambini rom. Né di quelle di Gilbert, che oggi vive negli Stati Uniti dove è riuscito a costruirsi una carriera da modello, attore e life-coach. E non conoscevo neppure le origini di Maria e di Cosmina, le compagne di gioco con cui correvamo davanti a casa e ci arrampicavamo sugli alberi di susine.

Un’illustrazione di Anca Smărăndache per Nanata (Editura Cartea Copiilor)

Avevo la stessa età di Ioanida – 24 anni – quando, grazie allo spettacolo teatrale _Marea rușine _(La grande vergogna) di Alina Serban, ho imparato che i rom erano schiavi nelle terre possedute dai romeni. Così è nato il desiderio di contribuire a far conoscere queste vicende ai più piccoli: dare ai bambini e alla bambine rom gli strumenti per rispondere a chi li discrimina e insegnare a quelli non rom a essere solidali con loro, a difenderli da chi cerca di ferirli.

Gabriela Nenciu, una delle fondatrici dell’associazione Cu alte cuvinte, vive da otto anni a Boston, dove insegna francese alla Brandeis university: “Ho fondato l’associazione con Cristi Pîrvu nel 2016, dopo aver incontrato Magda Matache, direttrice del programma di studi rom a Harvard, e aver letto la sua tesi di dottorato, in cui spiegava che nella letteratura e nella cultura di massa non ci sono rappresentazioni di bambini rom. Ho proposto a Magda di realizzare un libro insieme. Ma poi mi sono resa conto che non avevo la più pallida idea di come andava scritto un testo simile”. Così Nenciu e Matache si sono rivolte a uno scrittore e a un illustratore professionisti. “Un altro spunto è arrivato dall’esperienza di volontariato che ho fatto con la ong OvidiuRo”, continua Nenciu. “Con loro ho potuto lavorare sul campo e visitare diversi villaggi con comunità rom. Dopo queste esperienze, qui negli Stati Uniti ho seguito la campagna We need diverse books, un’iniziativa per promuovere la diversità nell’editoria”.

A quel punto ha capito che un libro accessibile sulla storia dei rom era necessario, non solo per i bambini, ma per tutti i romeni. “Prima del mio incontro con Magda, otto anni fa, io stessa non ne sapevo niente. E l’anno scorso, al termine dello spettacolo di Alina Serban, che parla della schiavitù dei rom, durante un incontro tra la regista e il pubblico una ragazza sui trent’anni, visibilmente emozionata, ha detto che ignorava completamente quei fatti. È per questo che serve un libro così: la storia dei rom è anche la nostra storia”.

Raggiungere tutti

Non è ancora chiaro che forma prenderà il libro. Dovrà affrontare eventi storici traumatici – l’olocausto, la deportazione dei rom nei campi di concentramento in Transnistria, la schiavitù – non facili da raccontare ai bambini. È anche possibile che affronti un solo periodo storico, come un punto di partenza a cui far seguire altri libri di storia dei rom. In ogni caso la pubblicazione sarà solo l’inizio: “Vorremmo cominciare con una tiratura di mille copie, che vogliamo donare alle scuole dei quartieri e dei villaggi più svantaggiati, insieme a una guida con attività per educare alla diversità”, spiega Gabriela. “Il racconto della kendama perduta, pubblicato dalla casa editrice Arthur, è stato accolto bene dai bambini. Per promuoverlo, abbiamo donato più di cinquecento copie a Teach for Romania, una ong che si occupa d’istruzione e diritto allo studio. E abbiamo realizzato anche una guida che propone attività per bambini. Per molti di loro è stato il primo libro che hanno avuto. Nanata, pubblicato da Cartea Copiilor, è disponibile online in lingua romena e in quattro dialetti romanì: il calderaš, il carpatico, il dialetto degli spoitor (i rom che costruiscono i vasi di rame) e quello degli ursari”. Gli ursari sono un popolo di etnia rom che vive in Romania e in Moldavia. Il nome viene dal romeno urs, che vuol dire “orso”. Per secoli questi rom portavano orsi al guinzaglio intrattenendo la gente e raccogliendo elemosine. A volte, invece dell’orso, c’erano scimmie.

Gabriela Nenciu vive negli Stati Uniti, dove la diversità è un argomento sempre attuale. “Qui la gente è sempre più convinta che non basta non essere razzisti: bisogna essere antirazzisti. E si discute molto su come esserlo e su come trasmettere questi valori ai bambini. Non credo che in Romania la risposta alle discriminazioni possa essere la stessa. Ibram X. Kendi, l’autore di How to be an antiracist _(Come essere antirazzista), sta lavorando a un libro per bambini che s’intitola _Antiracist baby. Questa mi sembra la differenza più rilevante con la Romania: anche se è un tema estremamente delicato e difficile per tutti, negli Stati Uniti molti chiedono un’inversione di rotta, un vero cambiamento”. ◆ mt

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Questo articolo è uscito sul numero 1378 di Internazionale, a pagina 75. Compra questo numero | Abbonati