Nel 2023 Amnesty international ha rivelato l’esistenza di un sistema di sorveglianza chiamato Red wolf, che grazie al riconoscimento facciale permette all’esercito israeliano di monitorare i movimenti dei palestinesi che entrano ed escono dalla parte orientale di Hebron (H2), in Cisgiordania. Tutto questo succede senza il consenso dei cittadini. I dati raccolti su di loro sono usati dai militari per stabilire se una persona è pericolosa o meno, e decidere così se può lasciare o meno la zona.

Questo sistema è solo un esempio dei controlli, delle umiliazioni e degli abusi a cui sono sottoposti i palestinesi di Hebron, l’unico posto della Cisgiordania in cui i coloni israeliani vivono anche nel centro storico. I soldati israeliani sono una presenza costante, ma non intervengono quasi mai per proteggere i palestinesi dai continui attacchi dei coloni, che vivono invece nella totale impunità.

La prima volta che la fotografa belga Barbara Debeuckelaere ha visitato Hebron era il 2005. Lavorava come giornalista di Vrt, una radio e televisione fiamminga, e in quel periodo ha visto con i suoi occhi come funziona ogni giorno l’apartheid contro i palestinesi. È tornata a Hebron nel 2023, ma con la macchina fotografica. Ha preso contatti con attivisti come l’artista Adam Broomberg e il leader del movimento di resistenza non violenta Youth against settlements, Issa Amro. Grazie a loro ha conosciuto alcune donne, madri e ragazze, che vivono nel quartiere di Tel Rumeida, vicine dei coloni più estremisti.

In un luogo pieno di odio, dove la minaccia della violenza è costante, Debeuckelaere è stata conquistata dalla capacità di resistenza dei palestinesi, in particolare da quella della comunità di Tel Rumeida, che ha conosciuto da vicino. Ognuno cerca di costruire una quotidianità in cui le azioni più comuni – procurarsi del cibo, mandare i figli a scuola, prendersi cura di parenti e amici – possono diventare una sfida, se non dei veri atti di resistenza.

Durante i primi mesi la fotografa ha scattato molte foto ma si è resa conto che non voleva restituire solo la sua prospettiva. Dopo l’estate è tornata a Tel Rumeida carica di fotocamere analogiche e rullini per le madri di otto famiglie. Le donne le hanno usate per esprimere i loro punti di vista. Per un messe, nel settembre 2023, Debeuckelaere è stata al loro fianco per parlare, mangiare o aiutarle a cambiare la pellicola.

Alla fine le sono stati restituiti più di trenta rullini da sviluppare: “Era molto più di quello che avevo sperato”, ha scritto. “Gli errori tecnici rappresentavano gli elementi caotici di una casa piena di amore in un posto violento. Ed è qualcosa che solo queste donne potevano ottenere. Non potrei essere più orgogliosa di loro”.

Alle videocamere disseminate per Hebron, che servono a tenere in piedi un sistema di controllo impietoso e disumanizzante, questa comunità ha risposto con immagini intime, quasi astratte. I colori tenui e le sfocature restituiscono uno sguardo caldo e gentile. Un progetto concepito come un lavoro individuale si è evoluto in un’opera collettiva, femminista e pacifista, dove la speranza trova spazio in mezzo al genocidio in corso.

Grazie alla casa editrice olandese The eriskay connection, le foto sono diventate un libro, ‘Om/Mother, che sarà presentato il 15 ottobre a Bologna, da Spazio labò, con un allestimento curato da Laura De Marco. All’evento parteciperanno Barbara Debeuckelaere, Issa Amro e Adam Broomberg, mentre alcune delle donne di Tel Rumeida saranno in video collegamento. La mostra resterà aperta fino al 22 gennaio 2026.

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