Il 27 settembre il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sulla situazione fiscale e finanziaria di Donald Trump, rivelando che il presidente degli Stati Uniti è un imbroglione assetato di denaro che non ha pagato neanche un dollaro di tasse federali in dieci dei quindici anni precedenti alla sua candidatura. Nel disperato tentativo di restare a galla economicamente, Trump ha cercato di salvare le sue disastrose finanze sfruttando il potere derivato dalla sua carica.
I lettori hanno scoperto che Trump, dopo aver ereditato una grande fortuna dal padre, ha trovato un’infinità di modi per dilapidare il capitale. Come il padre, anche lui è riuscito ad aggirare ripetutamente il sistema fiscale, per esempio pagando la figlia Ivanka per consulenze legalmente discutibili. Nel frattempo il presidente ha accumulato centinaia di milioni di dollari di debiti, che presto dovrà ripagare. Tutto ciò che Trump tocca si trasforma in piombo. Se non fosse per i suoi investimenti nella Trump Tower e nel programma tv The apprentice e per le instancabili manovre dei suoi commercialisti, probabilmente sarebbe in rovina. La domanda è: a qualcuno interessa?
Trattative e scappatoie
L’inchiesta del New York Times non è la prima che fornisce le prove dei raggiri di Trump, ma contiene molti dettagli sconvolgenti e soprattutto è stata pubblicata alla vigilia del primo dibattito tra Trump e Joe Biden e cinque settimane prima delle elezioni. È possibile che alla luce di queste nuove informazioni gli elettori indecisi di stati come Pennsylvania, Ohio, Florida, Georgia o Wisconsin decidano di non votare per Trump? Difficile dirlo.
La reazione del presidente era prevedibile: negare, distogliere l’attenzione e dare la colpa agli altri. Dopo la pubblicazione dell’articolo si è presentato nella sala stampa della Casa Bianca e ha attaccato il New York Times (“È tutto falso, sono pessimi”) e l’Internal revenue service, l’agenzia delle entrate. Quattro anni fa Trump ha detto che avrebbe potuto sparare a qualcuno nel centro di New York senza perdere neanche un elettore. Forse aveva ragione. Molti dei suoi sostenitori non contestano il fatto che sia disonesto, fanatico e incompetente. Non sono interessati a quello che fa né a quello che i giornalisti scrivono di lui. Dal loro punto di vista Trump ha mantenuto la promessa di abbattere “il sistema” e combattere le élite. Alcuni sono convinti che il presidente abbia abbassato le tasse (non è vero), neutralizzato la minaccia della Corea del Nord (non è vero) e risolto il conflitto israelo-palestinese (non è vero). Per i leader repubblicani Trump resta un presidente tollerabile, perché nomina giudici di destra e difende gli interessi delle aziende.
Chi ha letto l’inchiesta del New York Times si chiederà cos’hanno queste ultime rivelazioni di diverso dalle precedenti. Cosa c’è di nuovo rispetto a quando Trump ha definito “perdenti” e “sfigati” i soldati statunitensi morti in guerra? O rispetto alle rivelazioni del giornalista Bob Woodward, secondo cui generali dell’esercito e funzionari del governo considerano Trump una minaccia per la sicurezza nazionale?
L’articolo del New York Times non è una lettura facile, soprattutto per chi non ha una laurea in legge o in economia. La colpa non è degli autori. L’inchiesta è la complessa ricostruzione di anni di scappatoie fiscali, complicati accordi finanziari, subdole trattative con i partner stranieri e manovre legali oscure. Ma l’articolo comincia con un paragrafo semplice e memorabile: “L’anno in cui ha vinto le elezioni, Donald J. Trump ha pagato 750 dollari di tasse sul reddito. Nel suo primo anno alla Casa Bianca, ha pagato altri 750 dollari”. Il secondo paragrafo è altrettanto chiaro: “Non ha pagato tasse in dieci dei quindici anni precedenti, in buona parte perché ha dichiarato di aver perso molti più soldi di quanti ne ha guadagnati”.
La vera notizia
Per anni Trump si è presentato all’opinione pubblica come un populista particolare, un uomo che ha rubinetti d’oro in bagno, grandi ville e un aereo privato ma che al tempo stesso è il paladino degli operai e della classe media. Forse molte persone apprezzano il suo senso dello spettacolo e le sue contraddizioni. Tuttavia, è difficile immaginare che tutti i suoi elettori (o quelli indecisi negli stati dove si decideranno le elezioni) possano essere felici di scoprire che Trump, da quando è stato eletto, ha pagato 750 dollari di tasse. Quanti insegnanti, infermieri, cassieri, agricoltori, operaie, autisti e camioniste troveranno accettabile questa notizia? Quanti faranno il confronto con la propria dichiarazione dei redditi?
Trump sa di avere alcuni vantaggi. È un demagogo di talento e si muove in un sistema dell’informazione globale in cui gli articoli lunghi e complessi sono spesso ignorati o distorti. La sera del 27 settembre, mentre sulla Cnn il giornalista Anderson Cooper spiegava i dettagli dell’inchiesta, su Fox News andava in onda un’intervista in cui il segretario di stato Mike Pompeo raccontava la meravigliosa politica estera di Trump. Il sito di Fox News ha risposto all’inchiesta riportando una dichiarazione di Trump: “È tutto sbagliato”. Per milioni di lettori e telespettatori la notizia non saranno le prove contro Trump. La notizia sarà la reazione sprezzante dell’autocrate.
A chi interessa tutto questo? Questi scandali cambiano qualcosa? L’unico modo per scoprirlo è aspettare le elezioni. Il problema è che Trump, nella sua sfrontatezza senza limiti, sembra intenzionato a sabotare anche il corretto svolgimento delle elezioni. ◆ as
David Remnick è un giornalista statunitense, dirige il New Yorker dal 1998.
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Questo articolo è uscito sul numero 1378 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati