Nel 2001 alcuni archeologi hanno fatto una scoperta che prometteva di riscrivere la storia della domesticazione del gatto. Da tempo si pensava che l’animale fosse diventato amico degli umani nell’antico Egitto, dove veniva mummificato e raffigurato nell’arte. Quando però i ricercatori hanno scavato sotto una casa di 9.500 anni fa, in un insediamento di coltivatori sull’isola di Cipro, hanno trovato quello che sembrava un gatto sepolto insieme a un essere umano, più di quattromila anni prima dell’antico Egitto.

E così ha cominciato a prendere forma un’altra storia. La scoperta di antiche ossa in tutta Europa ha convinto molti scienziati che la domesticazione fosse cominciata quando i gatti selvatici si intrufolarono negli insediamenti dei primi coltivatori – forse nell’attuale Turchia – per poi evolversi nei gatti domestici attuali. Quando gli agricoltori migrarono in altre zone d’Europa, portarono i felini con loro.

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Ma due nuovi studi – entrambi pubblicati sul server di preprint bioRxiv – riportano l’attenzione sull’Egitto. A quanto pare, infatti, le ossa e il dna dei gatti antichi di tutta Europa e del Mediterraneo indicano che potrebbero essere stati addomesticati in Egitto circa tremila anni fa. Il processo, ipotizza uno dei due articoli, fu raccapricciante: sacrifici di massa legati a un culto religioso instillarono la mansuetudine nei felini nell’arco di poche generazioni, spiega il biologo di Oxford Greger Larson, autore in entrambi gli studi.

È un’“ipotesi plausibile”, conferma Natalie Munro, archeozoologa dell’università del Connecticut, che non ha partecipato agli studi. Per lei e altri, però, le prove non sono chiare come sembrano.

In uno degli studi, coordinato da Sean Doherty dell’università di Exeter, le ossa di Cipro sono state esaminate da una nuova angolazione. I ricercatori hanno confrontato forma e dimensioni con le misurazioni degli scheletri di 2.400 felini selvatici e domestici d’Europa e del Mediterraneo. L’animale è risultato essere un gatto selvatico europeo (Felis silvestris), una specie più grande e robusta non affine né al gatto domestico (F. catus) né al suo diretto antenato, il gatto selvatico africano (F. lybica).

Quando il team ha effettuato un’analisi simile di altre presunte ossa antiche di gatto domestico rinvenute nell’Europa centrale e sudorientale ha scoperto che anche quelle erano di gatti selvatici europei. Sono molto grandi e spesso erano lontane dagli insediamenti umani. “Si trovano nelle grotte insieme a quelle di altri animali selvatici”, spiega Doherty.

La conferma è arrivata dall’esame del dna. Gli scienziati sospettavano che molti di quei felini fossero gatti domestici perché nel dna mitocondriale c’è un’impronta genetica nota come aplogruppo IV-A, trovata solo nei gatti domestici e nei gatti selvatici africani. Ma secondo l’altro team, coordinato dal paleogenetista dell’università di Roma Tor Vergata Claudio Ottoni, il dna nucleare – standard di riferimento per identificare una specie – ha confermato che erano gatti selvatici europei. Forse l’incrocio tra questi felini e i gatti selvatici africani, i cui territori nell’antica Europa si sovrapponevano, spiega perché le ossa contengono l’aplogruppo IV-A, ha concluso il team.

Per Munro le analisi rendono “molto meno convincente” l’ipotesi secondo cui i primi coltivatori hanno addomesticato e portato i gatti con loro. “Pur ammettendo che il gatto cipriota fosse una specie di animale domestico, sono passate migliaia di anni senza altri gatti”, dice Doherty. “Segno che dobbiamo cercare altrove gli epicentri della domesticazione”.

Selezione innaturale

Quell’“altrove” ci riporta proprio all’antico Egitto. Quando il team di Ottoni ha confrontato i genomi dei gatti domestici con quelli dei gatti selvatici africani di varie località i parenti più prossimi sono risultati i gatti selvatici dell’Africa del nord. “Io scommetto sull’Africa”, afferma Ottoni. Escludendo gli esemplari dell’antica Europa, i gatti domestici più antichi dal punto di vista genetico sono quelli egizi mummificati, che risalgono a un periodo compreso tra il 500 avanti Cristo (aC) e l’anno zero. All’epoca ci fu una ripresa del culto di Bastet, la divinità egizia della fertilità e della salute che appare per la prima volta intorno al 2800 aC: all’inizio aveva la testa di leone, ma dal primo millennio aC viene ritratta sempre più spesso con la testa di gatto.

La devozione assunse forme cruente: quando visitavano i templi, i pellegrini compravano “mummie votive” di gatti. La domanda aumentò a tal punto che gli egiziani crearono degli allevamenti. Secondo gli studiosi furono realizzati milioni di queste mummie, così tante che nell’ottocento furono portate nel Regno Unito per essere usate come fertilizzante.

Tenere tutti quei gatti in un solo luogo avrà favorito la selezione degli esemplari più adatti a vivere tra le persone e altri felini, commenta Larson. Infine alcuni egiziani potrebbero averli accolti in casa come animali domestici, aggiunge Doherty.

Per l’egittologa Julia Troche della Missouri state university, che non ha partecipato allo studio, è una bella storia, ma la cronologia non torna. In un cimitero dell’alto Egitto sono state trovate ossa di quelli che potrebbero essere gatti domestici risalenti all’inizio del quarto millennio aC, e le raffigurazioni di gatti nelle case risalgono almeno al 1500 aC. Anche se è impossibile affermare che si tratta di gatti domestici, “facevano parte del mondo umano” molto prima dell’inizio dei riti sacrificali.

Troche sospetta che ad avvicinare gatti e persone nell’antico Egitto furono gli stessi motivi ipotizzati dagli studiosi per i campi dei primi coltivatori del Mediterraneo. Gli egizi conservavano il grano nelle case, e questo probabilmente attirava i roditori, che a loro volta attiravano i gatti. I più domestici furono accolti e protetti e si riprodussero.

È probabile che i gatti arrivarono in Europa alla fine del primo millennio aC. Un gatto domestico trovato in Austria è stato datato dal team di Ottoni al 50 aC circa. I romani potrebbero aver contribuito a diffonderli, dice Marco De Martino di Tor Vergata, coautore dello studio di Ottoni.

Oggi i gatti nel mondo sono circa un miliardo, e vivono in tutti i continenti tranne l’Antartide. Merito dei sacrifici rituali? Dei coltivatori afflitti dai ratti? Una cosa è certa, dice Troche: “Dev’esserci stato qualcosa di molto speciale nei gatti, non solo il fatto che sono così carini e adorabili”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati