Secondo vari funzionari statunitensi l’amministrazione Trump ha messo a punto diverse alternative a un’azione militare in Venezuela, compresi attacchi diretti alle unità che proteggono il presidente Nicolás Maduro e manovre per prendere il controllo dei giacimenti petroliferi del paese. Donald Trump non ha ancora deciso come procedere né se farlo. I funzionari hanno affermato che non vuole approvare operazioni che possano mettere in pericolo i soldati statunitensi o portare a un fallimento imbarazzante.

Molti dei suoi consiglieri, tuttavia, stanno spingendo verso una delle opzioni più aggressive: rovesciare Maduro. Hanno chiesto al dipartimento di giustizia delle linee guida che diano una base giuridica per azioni militari più ampie degli attacchi alle imbarcazioni accusate da Washington, senza prove, di essere coinvolte nel traffico di stupefacenti. Queste linee guida potrebbero prevedere una cornice legale per attaccare Maduro senza la necessità di un’autorizzazione del congresso per l’uso della forza militare.

Le linee guida sono ancora in fase di elaborazione, ma secondo alcuni funzionari la tesi sostenuta sarà che Maduro e i vertici della sicurezza venezuelana sono figure centrali del cartello de los Soles, definito dagli Stati Uniti un gruppo narcoterroristico. Il dipartimento di giustizia potrebbe stabilire che questa definizione rende il presidente venezuelano un obiettivo legittimo, nonostante la legge statunitense vieti l’omicidio di leader di altri paesi.

Trump ha rilasciato una serie di dichiarazioni pubbliche contraddittorie sulle sue intenzioni, sugli obiettivi e sui motivi di eventuali azioni militari

Il dipartimento di giustizia ha rifiutato di commentare. Il tentativo di giustificare un attacco a Maduro sarebbe l’ennesimo sforzo compiuto dal governo statunitense per ampliare i propri poteri legali. Wash­ington ha già condotto omicidi mirati di presunti narcotrafficanti che, fino a settembre, erano perseguiti e arrestati in mare, non uccisi con attacchi di droni.

Qualsiasi tentativo di destituire Maduro sottoporrebbe il governo a un maggiore scrutinio sulle basi giuridiche delle sue operazioni, viste le motivazioni vaghe adottate finora per attaccare Maduro: il traffico di droga, l’interesse statunitense per l’accesso al petrolio e le affermazioni di Trump secondo cui il presidente venezuelano avrebbe liberato alcuni detenuti per mandarli negli Stati Uniti.

Trump ha rilasciato una serie di dichiarazioni pubbliche contraddittorie sulle sue intenzioni, sugli obiettivi e sui motivi di eventuali azioni militari. Ha annunciato che agli attacchi contro le barche nei Caraibi e nel Pacifico orientale, in cui finora sono morte più di settanta persone, sarebbero stati aggiunti degli attacchi terrestri. Ma non è ancora successo.

Quando il 3 novembre Cbs news gli ha chiesto se gli Stati Uniti stiano andando verso una guerra contro il Venezuela, ha risposto: “Ne dubito. Non credo, ma ci hanno trattato molto male, e non solo in materia di droga”. Trump ha ribadito la sua accusa infondata secondo cui Maduro avrebbe aperto le carceri e gli istituti psichiatrici per inviare negli Stati Uniti affiliati dell’organizzazione criminale Tren de Aragua. Poi, quando gli hanno chiesto se Maduro abbia i giorni contati alla guida del Venezuela, ha risposto: “Credo di sì”.

Pressione psicologica

A spingere per le scelte più aggressive sono il segretario di stato statunitense Marco Rubio, che è anche consigliere per la sicurezza nazionale ad interim, e Stephen Miller, vicecapo di gabinetto e consigliere per la sicurezza nazionale di Trump. In privato Rubio e Miller sostengono che bisogna costringere Maduro a lasciare il potere.

Secondo i suoi collaboratori, Trump ha più volte manifestato delle riserve, in parte per paura che l’operazione possa fallire. Il presidente non ha fretta di prendere una decisione e ha chiesto quali potrebbero essere i vantaggi per gli Stati Uniti, concentrandosi in particolare sull’idea che Washington potrebbe aggiudicarsi una parte del petrolio venezuelano.

“Trump ha inviato un messaggio chiaro a Maduro: smetti di mandare droga e criminali nel nostro paese”, ha detto la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly. “Il presidente ha chiarito che continuerà a colpire i narcoterroristi coinvolti nel traffico illegale di droga; tutto il resto è speculazione e dev’essere trattato come tale”.

È probabile che Trump prenderà una decisione dopo l’arrivo l’11 novembre ai Caraibi della Gerald R. Ford, la più grande portaerei statunitense che trasporta circa cinquemila marinai e più di 75 velivoli tra aerei d’attacco, sorveglianza e supporto, compresi i caccia F/A-18. Dalla fine di agosto il numero di militari statunitensi nella regione è in aumento. Anche senza portaerei, ce ne sono circa diecimila: a bordo di navi da guerra e dislocati nelle basi di Puerto Rico.

Nelle ultime settimane il Pentagono ha inviato bombardieri B-52 e B-1 dalle basi della Louisiana e del Texas per missioni aeree al largo delle coste venezuelane, descritte dai militari come una dimostrazione di forza. I B-52 possono trasportare decine di bombe di precisione, mentre i B-1 hanno una capacità di carico di 34mila chili di munizioni guidate e non guidate. Anche il 160° reggimento aereo per le operazioni speciali, che ha condotto vaste operazioni antiterrorismo con elicotteri in Afghanistan, Iraq e Siria, di recente ha svolto quelle che il Pentagono ha definito esercitazioni al largo delle coste venezuelane.

Il dispiegamento militare è stato così rapido e alla luce del sole da far pensare a una campagna di pressione psicologica su Maduro. Trump ha parlato della possibilità di emettere un finding, un documento che autorizzerebbe la Cia, l’agenzia d’intelligence, a condurre operazioni segrete in Venezuela, un tipo di operazione che i presidenti raramente discutono in anticipo.

Se Trump scegliesse di ordinare un intervento militare in territorio venezuelano si esporrebbe a rischi significativi sul piano militare, giuridico e politico. Nonostante tutti i rischi che ha corso autorizzando il bombardamento statunitense di tre impianti nucleari in Iran a giugno, l’obiettivo non era rovesciare o sostituire il governo di Teheran.

Decidendo di procedere, non ci sarebbe alcuna garanzia di successo né la certezza che la caduta di Maduro porterebbe all’insediamento di un governo più vicino agli Stati Uniti. Secondo i collaboratori di Trump si è pensato più a come attaccare il governo di Maduro che a come governare il Venezuela se l’operazione avesse successo. Alcuni dei più fedeli sostenitori politici di Trump l’hanno messo in guardia contro un eventuale attacco a Maduro, ricordandogli che è stato eletto per mettere fine alle “guerre eterne”, non per cominciarne di nuove.

Un piano in tre fasi

La Cia potrebbe condurre diverse attività: missioni di intelligence, sostegno alla creazione di un’opposizione interna, sabotaggio attivo del governo o perfino la cattura di Maduro. Tuttavia, secondo vari funzionari della sicurezza statunitense, se operazioni simili avessero potuto rimuovere il presidente venezuelano, questo sarebbe avvenuto già anni fa. È per questo che la Casa Bianca sta valutando la possibilità di un intervento militare. Le proposte sul tavolo sono tre.

La prima prevedrebbe attacchi aerei contro installazioni militari, alcune delle quali collegate al traffico di droga, con l’obiettivo di smantellare il sostegno delle forze armate a Maduro. Se il presidente venezuelano temesse di non avere più la loro protezione potrebbe tentare la fuga o, rifugiandosi all’interno del paese, esporsi a un maggior rischio di cattura. I critici avvertono che un’azione di questo tipo potrebbe avere l’effetto opposto: rafforzare il sostegno intorno a un leader sotto assedio.

Una seconda proposta prevede l’impiego di forze speciali, come la Delta force o il Seal team 6, per arrestare o uccidere Maduro. L’amministrazione Trump cercherebbe di aggirare i divieti contro l’uccisione di capi di stato stranieri sostenendo che Maduro sia prima di tutto il capo di un cartello di narcoterroristi, un’argomentazione simile a quella adottata per giustificare gli attacchi aerei contro le navi accusate di trasportare droga.

Il dipartimento di stato ha messo una taglia di 50 milioni di dollari sull’arresto o la condanna di Maduro, un aumento rispetto ai 25 milioni offerti dall’amministrazione Biden. La Casa Bianca potrebbe anche sostenere che, a causa della repressione dell’opposizione e dei brogli alle ultime elezioni, Maduro non è il capo di stato legittimo.

Una terza ipotesi, più complessa, punta sull’impiego di forze antiterrorismo statunitensi per occupare aeroporti e assicurarsi il controllo di alcuni giacimenti petroliferi e infrastrutture del Venezuela.

Queste ultime due opzioni comportano rischi maggiori per i commando statunitensi sul campo – per non parlare dei civili – soprattutto se l’obiettivo fosse catturare o neutralizzare Maduro in un contesto urbano come Caracas.

Trump si è mostrato riluttante a prendere in considerazione operazioni che mettano a rischio la vita dei soldati statunitensi. Per questo molti piani in fase di studio prevedono l’impiego di droni navali e armi a lungo raggio.

Il dilemma del petrolio

Il presidente degli Stati Uniti è interessato alle immense riserve petrolifere del Venezuela, le più grandi al mondo. La gestione di quel petrolio rappresenta da dieci mesi un nodo irrisolto per l’amministrazione, che non sa se interrompere le importazioni degli Stati Uniti o mantenerle, nella speranza di conservare una posizione privilegiata se Maduro sarà rovesciato.

Anche quando Trump ha raddoppiato la taglia sul leader venezuelano e l’ ha definito un narcoterrorista, ha cancellato e poi rinnovato la licenza che consente alla Chevron, l’azienda petrolifera statunitense che è un cardine dell’economia venezuelana, di continuare a operare nel paese sudamericano.

Su pressione del segretario di stato Rubio, la licenza della Chevron è stata revocata a marzo e durante l’estate le esportazioni venezuelane negli Stati Uniti sono crollate. Una nuova licenza, i cui dettagli non sono stati resi noti, sembra impedire all’azienda di trasferire valuta estera nel sistema bancario venezuelano. Le esportazioni di petrolio della Chevron sono comunque un sostegno economico concreto per Maduro.

La Chevron è un’eccezione: i beni della maggior parte delle aziende petrolifere statunitensi che operavano nel paese sono stati confiscati o trasferiti a compagnie statali venezuelane ormai diversi anni fa. La Chevron è una delle poche che ha saputo gestire sia Trump sia Maduro, che ha dichiarato: “La Chevron è presente in Venezuela da 102 anni e voglio che ci resti altri cento”. L’azienda ha assunto come lobbista a Washington un importante finanziatore della campagna di Trump.

Negli ultimi mesi Maduro ha tentato di convincere Trump offrendo concessioni, tra cui una quota dominante nell’estrazione di petrolio e altre ricchezze minerarie del Venezuela. Ha prospettato alle aziende statunitensi contratti privilegiati per i progetti presenti e futuri relativi all’oro e al greggio. Ha detto che avrebbe riorientato le esportazioni verso la Cina e limitato i contratti di estrazione mineraria con aziende cinesi, iraniane e russe.

Attacchi dal mare
Unità navali statunitensi impiegate in alcuni interventi militari. (csis, the economist)

All’inizio di ottobre Trump ha rifiutato l’offerta, e l’escalation militare statunitense ha subìto un’accelerazione.

Se il governo di Maduro cadesse e fosse sostituito da una leadership stabile e più bendisposta verso Washington, la Chevron si troverebbe in una posizione migliore per beneficiare di quello che l’amministrazione Trump immagina come un boom di investimenti nelle immense riserve petrolifere venezuelane. L’idea affascina Trump, come l’aveva affascinato il controllo dei giacimenti siriani, le cui riserve sono molto più limitate rispetto a quelle del Venezuela.

“Pensiamo che la nostra presenza continui a essere un fattore stabilizzante per l’economia locale, la regione e la sicurezza energetica degli Stati Uniti”, ha affermato Bill Turenne, portavoce della Chevron.

Mentre i collaboratori di Trump spingono per l’opzione militare più aggressiva, gli avvocati del dipartimento di giustizia stanno elaborando un quadro giuridico che copra tutte le azioni in discussione.

I funzionari della Casa Bianca hanno chiesto un’analisi legale aggiornata prima di fare passi ulteriori, e gli avvocati del governo hanno sostenuto davanti al congresso che il presidente non ha bisogno della sua autorizzazione per gli attacchi letali contro le imbarcazioni provenienti dal Venezuela.

T. Elliot Gaiser, a capo dell’ufficio di consulenza legale del dipartimento di giustizia, ha detto al congresso che secondo il governo le operazioni contro le imbarcazioni venezuelane non sono un atto ostile così come contemplato dalla legge War powers resolution del 1973, che prevede l’autorizzazione del congresso per operazioni militari di durata superiore ai sessanta giorni. Ma i parlamentari, sia democratici sia repubblicani, hanno espresso preoccupazione per gli attacchi.

Giustificazione giuridica

Forse il precedente che più si avvicina a una giustificazione legale per colpire un capo di stato è il parere elaborato dall’ufficio di consulenza giuridica durante il primo mandato di Trump, secondo cui il presidente aveva l’autorità di ordinare un lancio missilistico per colpire il generale di divisione Qasem Soleimani, il principale comandante dell’intelligence e della sicurezza iraniana ucciso da droni statunitensi nel 2020. Trump rivendica quell’omicidio come uno dei più grandi successi del suo primo mandato.

In quel caso l’ufficio di consulenza legale aveva stabilito che l’uso dei droni era ammesso perché Suleimani stava “attivamente sviluppando piani per nuovi attacchi contro il personale militare e diplomatico statunitense”, secondo un memorandum reso pubblico dopo l’attacco.

“I leader militari che pianificano e dirigono attacchi contro cittadini o interessi degli Stati Uniti possono essere considerati obiettivi militari legittimi”, affermava il memorandum, precisando che l’operazione era stata concepita per “evitare vittime civili o danni collaterali significativi” e che non mirava a “imporre con mezzi militari un cambiamento nella natura di un regime politico”.

Il documento concludeva che “data la natura mirata della missione, le informazioni d’intelligence disponibili e le misure adottate per evitare un’escalation”, un attacco con droni contro di lui “in base alla costituzione non sarebbe stato configurabile come guerra”. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati