In un video pubblicato il 17 settembre su Facebook da una brigata dell’esercito ucraino viene intervistato un prigioniero di guerra singolare: un nero di 36 anni, con indosso una maglietta sportiva rossa, che in lacrime chiede di non essere rimandato in Russia, ma di poter tornare a casa. Come spiega la Bbc, l’intento dell’intervista era mostrare il trattamento che i russi riservano agli stranieri che combattono al loro fianco in guerra. Il protagonista del video si chiama Evans Kibet, è keniano e nella vita voleva diventare un campione di atletica.
Come ha dichiarato alla Bbc un portavoce dell’esercito ucraino, tra i soldati catturati tra le file russe ci sono somali, sierraleonesi, togolesi, srilanchesi e cubani. Alcuni sono reclutati con l’inganno, per esempio attraverso la promessa di un lavoro in fabbrica; altri si arruolano volontariamente.
Kibet potrebbe essere arrivato in Russia proprio per via della sua passione. Come molti altri keniani, si era dedicato alla corsa con la prospettiva di una carriera internazionale. Si era allenato a Iten, la città famosa per essere una fucina di talenti, e anche se era stato chiamato a gareggiare in Europa e in Asia, aveva partecipato solo a competizioni minori. Secondo la ricostruzione della Bbc, Kibet era in difficoltà economiche, così ha accettato l’offerta di un agente sportivo di iscriversi a una gara in Russia.
Nel video su Facebook, Kibet dice di essere entrato in Russia come turista, non per un “impiego militare”. Dopo due settimane, alla scadenza del visto, gli è stata fatta un’offerta di lavoro, che lui ha accettato. Ha firmato delle carte in russo, poi gli hanno sequestrato telefono e passaporto. Non immaginava che sarebbe presto finito in un centro di addestramento militare: a sua insaputa, aveva accettato il reclutamento nell’esercito. Dopo una settimana di esercitazioni (a gesti, perché nessuno parlava inglese) è stato mandato sul campo. Lì dice di essere riuscito a scappare e, dopo due giorni passati a vagare nella foresta, si è consegnato ai soldati ucraini.
Eventi speciali
La famiglia di Kibet, intervistata dai giornalisti della Bbc, ha chiesto alle autorità keniane di intervenire. Secondo un alto funzionario del ministero degli esteri di Nairobi, il governo del presidente William Ruto sta seguendo i casi di diversi connazionali che si sospetta siano stati attirati con l’inganno in Russia e sono oggi prigionieri nei campi ucraini. Ma, anche a detta del portavoce dell’esercito di Kiev sentito dalla Bbc, la maggior parte dei paesi africani coinvolti non è molto interessata al ritorno dei propri cittadini.
L’anno scorso si era molto parlato del caso di decine di donne africane attirate con metodi fraudolenti in Russia e finite a lavorare in una fabbrica di droni nella regione del Tatarstan, mille chilometri a est di Mosca. Un’inchiesta dell’Associated Press aveva raccontato che le candidate venivano contattate su Facebook o a eventi speciali organizzati nei paesi d’origine, per esempio in Uganda. Venivano scelte chiedendo loro di risolvere un gioco al computer e di superare un test di russo molto basico. In cambio, ricevevano un biglietto aereo, del denaro e la possibilità di entrare in Europa.
Tuttavia, invece di lavorare nell’ospitalità e nella ristorazione come gli veniva fatto credere, finivano ad assemblare droni per la guerra in Ucraina, anche se non avevano nessuna esperienza. Alcune si lamentavano delle lunghe ore di lavoro e della sorveglianza costante, degli stipendi più bassi di quanto promesso e di dover lavorare a contatto con sostanze chimiche. La fabbrica, che si trova nella zona economica speciale di Alabuga, è l’unica in Russia a impiegare donne provenienti dall’Africa, ma anche dall’Asia e dal Sudamerica, per sopperire alla grave carenza di manodopera nazionale.
Secondo una recente inchiesta di un collettivo di giornalisti investigativi africani coordinati dal sito olandese Zam Magazine, questa pratica non si è interrotta. Anzi è alimentata da persone potenti, se non proprio da esponenti di alcuni governi africani. “Nessuno sembra valutare attentamente i rischi o i pericoli. Nessun governo ha lanciato avvertimenti sulla natura militare della produzione ad Alabuga. La Nigeria sembra incapace di rimuovere una brochure di Alabuga dal sito del suo governo. Un ambasciatore keniano ha lodato pubblicamente il programma di Alabuga. Un diplomatico ugandese in Russia ha annunciato borse di studio per Alabuga e ha visitato l’impianto”. E così via: i giornalisti di Zam Magazine riportano numerosi esempi di connivenza e superficialità dei dirigenti africani rispetto ai rischi del reclutamento all’estero.
Dal canto loro, i giovani africani non hanno molta scelta. Nei loro paesi le prospettive di trovare lavoro e fare carriera sono scarse. Secondo Zam Magazine, “con l’occidente ormai irraggiungibile (per le sue regole strette sull’immigrazione) e la maggior parte dei giovani senza soldi per pagarsi il viaggio, rimane solo una via: il reclutamento all’estero. Per andarsene, ci si affida a questi canali, anche se i rischi sono evidenti”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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