Stanotte ascolteremo le crepe delle storie delle grida degli strangolati di notte nella notte.

-Nathalie Handal

Mentre era in vacanza a Napoli, alla fine di novembre del 2019, Mario Paciolla cancellò le sue poesie da alcuni siti francesi e italiani, eliminò le foto personali dai social network, rese privato il suo profilo Facebook, cambiò le password e, anche se mantenne attivo l’account su Twitter, cancellò i messaggi che aveva scritto. Poi chiese a un amico di copiare per sicurezza i dati del suo computer e disse al padre, Giuseppe Paciolla, che il suo appartamento e la casa di famiglia non potevano più condividere la connessione internet.

Tra il 19 e il 21 novembre Paciolla, ancora in Colombia, confidò ad alcuni amici che lui e altri colleghi della missione delle Nazioni Unite (incaricata di verificare l’attuazione dell’accordo di pace tra il governo e le Farc) assegnati all’ufficio di San Vicente del Caguán, nel dipartimento di Caquetá, avevano subìto un attacco informatico. Era successo all’indomani dello scandalo che due settimane prima aveva portato alla destituzione dell’allora ministro della difesa colombiano Guillermo Botero. Insieme ai colleghi della missione Onu, il cooperante italiano aveva documentato i dettagli del bombardamento contro l’accampamento di Rogelio Bolívar Córdova, detto Gildardo El Cucho, un comandante della dissidenza delle Farc. Nell’attacco, avvenuto il 29 agosto 2019 ad Aguas Claras, nel comune di San Vicente del Caguán, erano morti sette ragazzi tra i 12 e i 17 anni.

Nelle mani sbagliate

Con il rigore che lo contraddistingueva, Paciolla aveva verificato sul campo le circostanze del bombardamento, in particolare quelle della morte dei ragazzi reclutati dal Cucho. Aveva documentato anche l’allontanamento forzato delle famiglie dopo l’attacco e le minacce ricevute da Herner Evelio Carreño, un funzionario del comune di Puerto Rico, nel Caquetá, che aveva informato l’esercito del fatto che nella zona la dissidenza delle Farc reclutava minorenni.

Paciolla, trovato morto nel suo appartamento colombiano il 15 luglio 2020, si sentiva in pericolo, tradito dai suoi superiori e in rottura con loro. Dopo aver saputo che su decisione di Raúl Rosende, direttore di area della missione, alcuni passaggi dei suoi rapporti erano arrivati nelle mani del senatore Roy Barreras, del Partido de la U (centrodestra, all’opposizione), il cooperante aveva chiesto il trasferimento in un’altra sede della missione e lo aveva rivelato alle persone che gli erano più vicine. Il 5 novembre, nel secondo dibattito in senato per il voto di sfiducia a Botero, le denunce di Barreras assestarono un duro colpo ai vertici militari e spinsero il ministro a dimettersi.

Nei mesi precedenti Botero aveva fatto pressioni affinché il mandato della missione Onu per il 2019 (che si rinnova ogni anno a settembre) non fosse approvato. Diverse fonti assicurano che in più di un’occasione il ministro della difesa si era rifiutato di ricevere i rappresentanti delle Nazioni Unite. Nella prima riunione ufficiale con il messicano Carlos Ruiz Massieu, capo della missione, Botero lo avrebbe ringraziato per il suo lavoro e poi avrebbe detto: “Continuiamo noi”, frase interpretata come un congedo anticipato su richiesta dell’esercito. La decisione di far filtrare le informazioni sul bombardamento nel Caquetá fu presa da alcuni funzionari dell’Onu nelle ultime settimane di ottobre del 2019. Coordinati da Rosende, questi funzionari selezionarono i documenti da far arrivare al senatore Barreras in vista del dibattito del 5 novembre, convocato in seguito all’omicidio di Dimar Torres (un ex guerrigliero delle Farc) nella regione di Catatumbo e ad altre denunce di violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito dopo la firma dell’accordo di pace tra il governo colombiano e le Farc, nel novembre del 2016. La scelta (contraria alle norme della missione) di mettere queste informazioni nelle mani di Barreras non fu condivisa con Massieu, vicino al governo del presidente Iván Duque. Non era la prima volta che Rosende nascondeva informazioni a Massieu. Come direttore delle delegazioni regionali e locali della missione, l’uruguaiano negò al suo superiore l’accesso ai rapporti. “L’informazione è preziosa e Raúl Rosende la gestisce a suo piacimento”, afferma una fonte.

L’esclusione di Massieu e il pericolo di questa fuga d’informazioni per i funzionari (come Mario Paciolla) che avevano raccolto sul campo dati sul bombardamento hanno creato, nelle settimane successive al dibattito sulla sfiducia, una divisione interna alla missione. Alcuni festeggiavano le dimissioni del ministro mentre altri, temendo possibili rappresaglie da parte dell’esercito, si lamentavano per l’interruzione dei canali di comunicazione ufficiali con il governo.

Barreras, presidente della commissione del senato sulla pace, ha negato di aver ricevuto materiale sul bombardamento nel Caguán dalla missione dell’Onu e ha ribadito che le sue fonti erano ufficiali dell’esercito critici verso la condotta dei militari e le violazioni dei diritti umani: “Non so come abbiano ottenuto queste informazioni, ma posso affermare con certezza di non avere ricevuto dalla missione nessun documento né per questo né per altri dibattiti”.

Da parte sua la missione delle Nazioni Unite si è rifiutata di rispondere alle mie domande sul caso e Massieu mi ha bloccato su WhatsApp. La responsabile dell’ufficio stampa, Liliana Garavito, si è limitata a fare riferimento alla dichiarazione di Farhan Haq, portavoce del segretario generale dell’Onu António Guterres, diffusa il 3 agosto a New York dopo due articoli pubblicati da El Espectador che denunciavano l’ostruzione alle indagini sul caso e la manomissione del luogo dov’è morto Paciolla.

Tuttavia sette fonti affidabili interne alla missione hanno accettato di parlare a condizione di restare anonime e hanno fornito dettagli precisi (che non rivelo per non mettere in pericolo le mie fonti) sulle discussioni e sullo scambio di email criptate nei giorni precedenti al dibattito del 5 novembre. Hanno parlato anche della gioia dopo le dimissioni di Botero, dei conflitti interni causati dalla fuga d’informazioni e del ruolo di Paciolla nell’inchiesta sul bombardamento, così come dell’attacco informatico subìto da vari funzionari della missione.

Poco protetti

In questo contesto Paciolla cominciò a dire di sentirsi “sporco”, “tradito” e “usato” dalla missione, ed eliminò ogni traccia personale dal web. “Voglio che nessuno possa dire che sono amico di qualcuno o che mi possa collegare a qualcuno su Face­book”, disse alla fine di dicembre. Non sbagliava: il suo lavoro era stato usato per portare avanti un attacco politico ai massimi livelli che era costato il posto al ministro della difesa e aveva messo in grave pericolo chi lavorava sul campo.

Il cooperante andò in Italia il 23 novembre e tornò in Colombia il 27 dicembre. Ricominciò a lavorare a San Vicente del Caguán all’inizio di gennaio. A quel punto chiese il trasferimento in un’altra sede. L’11 luglio confidò alla famiglia di sentirsi in grave pericolo e di voler rientrare al più presto in Italia. Quello stesso giorno, parlando in una chat con un parente, Paciolla scrisse: “Voglio dimenticarmi per sempre di questo paese. La Colombia non è più sicura per me. Non voglio mai più mettere piede né in Colombia né all’Onu. Non fa per me. Ho chiesto il trasferimento diverso tempo fa e non me l’hanno dato. Voglio una vita nuova, lontana da tutto”.

Da sapere
Indagine sull’esercito
Pacific Press/ZUMA Wire

Mario Paciolla (nella foto) era un cooperante italiano che collaborava con la missione di verifica dell’Onu in Colombia. In particolare, era assegnato all’ufficio di San Vicente del Caguán, nel dipartimento di Caquetá, e stava indagando su un bombardamento dell’esercito contro un accampamento della dissidenza delle Farc, avvenuto nell’agosto del 2019, in cui erano morti alcuni minorenni. Paciolla è stato trovato morto nel suo appartamento il 15 luglio 2020.

◆ Le **Farc **erano la principale organizzazione guerrigliera della Colombia e dell’America Latina. Nel 2016, dopo anni di negoziati, hanno firmato un accordo di pace con il governo del presidente Juan Manuel Santos. Ma nel paese le violenze sono ancora molto diffuse.


Un mese prima delle dimissioni del ministro della difesa Botero, prima ancora delle elezioni regionali di ottobre del 2019, un’altra fuga d’informazioni aveva messo a rischio il personale – in gran parte erano cooperanti – della missione Onu nel dipartimento di Antioquia. Le informazioni riguardavano un rapporto che ipotizzava la responsabilità dell’esercito in un attentato inizialmente attribuito al gruppo guerrigliero Esercito di liberazione nazionale (Eln). Il rapporto, che citava il nome degli autori e alcuni dettagli che permettevano di risalire alle fonti, era arrivato nelle mani del generale Juvenal Díaz Mateus, comandante della quarta brigata dell’esercito. Dopo averlo letto, Díaz era andato su tutte le furie e aveva chiamato il capo della missione nel dipartimento di Antioquia, il catalano Francesc Claret. Il disappunto nelle forze armate e il timore provocato dalla telefonata del generale erano stati così grandi che lo stesso Rosende era andato subito a Medellín (capoluogo del dipartimento) per ricucire i rapporti con la brigata e calmare i funzionari della missione.

Un punto in comune

Non è stato un caso isolato. Altri episodi simili avvenuti negli ultimi due anni in diverse zone della Colombia hanno avuto ripercussioni minori, ma hanno fatto crescere tra il personale della missione la sensazione di non essere protetto. I punti dell’accordo di pace che la missione dell’Onu ha il compito di verificare sono soprattutto tre: il reinserimento degli ex guerriglieri nella vita civile, il rispetto delle garanzie per la partecipazione politica degli ex guerriglieri e la lotta contro le organizzazioni e i comportamenti criminali. Secondo le fonti della missione, tutte le informazioni trapelate hanno un punto in comune: il capitano della marina a riposo Ómar Cortés Reyes, che svolge un’attività di consulenza, ma che sulla sua posta elettronica riceve i documenti della missione a cui possono avere accesso solo gli autori, i direttori di area e una cerchia ristretta di alti funzionari di Bogotá. Nelle mani sbagliate questi rapporti rischiano di compromettere la sicurezza del personale della missione.

Cortés Reyes, con un grado equivalente a quello di tenente colonnello, è stato uno dei sette militari che ha partecipato alla commissione tecnica nei negoziati di pace con le Farc all’Avana, a Cuba. Ha diretto l’intelligence della marina colombiana e ha fatto parte della Junta de inteligencia conjunta (Jic), responsabile delle analisi di spionaggio e controspionaggio per le decisioni di alto livello del governo, tra cui quelle sulle operazioni militari e sulla sicurezza nazionale. Reyes e il suo superiore diretto nella missione, il peruviano Yhon Medina Vivanco, direttore di area per le garanzie di sicurezza, condividono con i vertici i rapporti dei funzionari sul campo, affermando di volere così costruire un rapporto di fiducia con l’esercito.

“Ci usano per tessere rapporti politici ai livelli più alti e ci mettono in pericolo gestendo in modo irresponsabile informazioni sensibili, con l’unico risultato di rafforzare azioni d’intelligence contro di noi, nate nella nostra stessa missione”, afferma un cooperante che ha abbandonato le Nazioni Unite dopo aver vissuto una situazione simile a quella del collega italiano.

L’inchiesta interna della missione e le indagini della procura sul caso di Mario Paciolla non stanno facendo grandi passi avanti. Il mutismo della procura, che sembra confermare il patto di silenzio tra le autorità colombiane, l’ambasciata italiana e la missione dell’Onu denunciato dal giornalista Maurizio Salvi (corrispondente dell’Ansa in America Latina) non ha impedito che in Italia e in Colombia venissero a galla dettagli come quelli denunciati dall’Espectador sulla distruzione delle prove nell’appartamento in cui è morto Paciolla. Il fatto più recente è il ritrovamento, nella sede dell’Onu a Bogotá, del mouse del computer di Paciolla. Alcuni funzionari del dipartimento per la salvaguardia e la sicurezza delle Nazioni Unite lo avevano sottratto dall’appartamento insieme ad altri effetti personali il 16 luglio, il giorno dopo la morte del cooperante. Secondo il quotidiano italiano La Repubblica, i funzionari sarebbero stati coordinati dal direttore per la sicurezza della missione a San Vicente del Caguán, il militare a riposo Christian Leonardo Thomp­son Garzón.

Effetti personali

Il mouse compare nell’inventario inviato dalla missione ai genitori di Paciolla che, nonostante gli annunci dell’Onu a New York, non hanno ancora ricevuto nessun effetto personale del figlio. La novità è che una perizia tecnica della procura ha dimostrato che il mouse era impregnato di sangue. Nonostante questo, i responsabili dell’Onu lo avevano pulito e poi prelevato dalla casa di Paciolla, nel quartiere Villa Ferro a San Vicente del Caguán.

La comparsa del mouse nella sede centrale della missione è stata confermata da tre fonti di questa organizzazione, indignate per la grave responsabilità di Christian Thompson, ufficiale a riposo dell’esercito colombiano e, prima di collaborare con l’Onu, consulente su questioni di sicurezza per alcune multinazionali in diverse parti del mondo.

Germán Romero, l’avvocato della famiglia Paciolla in Colombia, dice di non sapere che il mouse insanguinato è stato ritrovato negli uffici della missione dell’Onu a Bogotá, perché non ha ancora avuto accesso al fascicolo completo. Non sa neanche se questioni come il rapporto del bombardamento contro El Cucho o la presenza del capitano Reyes siano state sollevate nelle indagini.

Intanto alla missione dell’Onu sono cambiate poche cose, a eccezione della chiusura dell’ufficio di San Vicente del Caguán, giustificato come atto di prevenzione davanti a situazioni di pressione che potrebbero portare a “un altro suicidio”. Carlos Ruiz Massieu, il capo della missione, è stato criticato a bassa voce dai colleghi per la sua passività, la sua mancanza di direzione e per l’incapacità di ripulire un’organizzazione in cui ci sono inchieste interne archiviate, trasferimenti e promozioni per convenienza, oltre al timore latente che si è diffuso dopo la morte di Paciolla. La procura, intanto, preferisce il silenzio. ◆ _ fr_

Claudia Julieta Duque _ è una giornalista colombiana. Ha dovuto lasciare diverse volte il paese per le minacce ricevute a causa delle sue inchieste._

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Questo articolo è uscito sul numero 1375 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati