Anni fa, durante una passeggiata, io e un amico abbiamo ricordato la vita di uno scrittore statunitense che piaceva a entrambi e che aveva raggiunto il picco della sua produzione negli anni ottanta. Lui voleva sapere come aveva fatto a sostenere tutto quel lavoro: io pensavo si riferisse ad affitti, compensi, occupazioni ordinarie per finanziare l’arte; lui invece parlava d’ispirazione e della capacità di pubblicare romanzi straordinari. Oggi, pensando alla vita di alcune cantanti, mi accorgo che non parleremmo di costi economici né di come mantenere l’ispirazione divina, ma c’interrogheremmo sui costi psicologici, ammettendo sempre di più che sia possibile smettere: per ogni Taylor Swift che dà il marchio a un’era con la sua presenza infinita sul palco c’è una giovane artista che mette la sua carriera in pausa, e che non ha neanche cominciato il suo percorso servendo ai tavoli come Madonna (e dunque questa carriera se la merita di meno). Basta pensare alle recenti apparizioni online di Angelina Mango, che si è presa una pausa dal lavoro (lo scorso anno Chappell Roan ha annullato varie date, lo stesso The Last Dinner Party, tutte al picco di popolarità): in mezzo ai prevedibili richiami motivazionali da coach a bordo campo (come siete fragili ragazze! Bevete uova crude) o a un effetto ibrido tra Notting Hill e Peter Parker (ma è solo una ragazza!) si percepisce il disagio generato da qualcosa che non rispetta i patti. Il burnout è trattato con indulgenza, finché promette di tornare. E se invece non passa? ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1611 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati