Era il 2017 e Jo Stak, con una giacca rossa, un papillon e una lobbia, intonava una canzone in mandarino. Le luci rosse e gialle lampeggiavano intorno a lui, mentre il pubblico della versione cinese di The Voice sventolava bandiere. Alla fine dell’esibizione ha ricevuto una standing ovation. Quella sera la sua interpretazione di una canzone cinese del 1992 intitolata “Il mondo ha bisogno di cuori caldi” è stata trasmessa dalla tv nazionale.
“Mi avevano invitato a The Voice come ospite”, ricorda Stak.
La sua presenza in prima serata dimostrava quanto fosse noto in Cina. Su Douyin, la versione cinese di TikTok, aveva circa cinque milioni di follower. Era apparso sulle principali emittenti tv del paese e gli ammiratori lo fermavano in strada per chiedergli una foto o scambiare due chiacchiere.
Jo Stak, originario dello Zimbabwe, era all’apice del successo.
“In Cina un nero risalta per forza”, osserva. “E poi ero un musicista, quindi mi si notava ancora di più”.
Spesso le persone che lo fermavano erano impressionate dal fatto che uno straniero cantasse in mandarino.
Oggi ad Harare, la capitale dello Zimbabwe, Joe Takawira (il vero nome di Jo Stak) è una persona qualunque che cammina lungo una strada di Budiriro 5, il quartiere operaio dov’è nato e cresciuto. Nel 2019, dopo sette anni trascorsi in Cina, il suo visto di lavoro è scaduto e Stak è tornato a casa.
Ad Harare passeggia tra le bancarelle che vendono prodotti agricoli e condimenti freschi, si ferma a un angolo per chiacchierare con un amico e poi continua la sua giornata. Quando incontra qualcuno che conosce, lo saluta con un sorriso smagliante e facendo pugno contro pugno. A casa, ascolta musica strumentale e scrive canzoni in mandarino.
“A Budiriro passo il tempo così”, dice.
La Cina è lontana, come la carriera che si era costruito lì. In patria Stak non ha avuto lo stesso successo. Clemence Kadzomba, proprietario di un negozio di pneumatici nel suo stesso quartiere, non sapeva chi fosse fino a quando alcuni suoi clienti, tra i ventimila cittadini dello Zimbabwe che avevano vissuto in Cina, lo hanno riconosciuto.
“Non potevo crederci”, racconta Kadzomba, 43 anni. “Erano emozionatissimi di vederlo, per loro era una celebrità. Invece lui passava il tempo insieme a noi come se niente fosse”.
Da ragazzo Stak cantava nel coro della chiesa e faceva parte di un gruppo di studenti con cui aveva inciso un disco di gospel. L’album aveva avuto un buon successo: su YouTube alcuni brani si avvicinano al milione di visualizzazioni.
◆ 1992 Nasce ad Harare, in Zimbabwe.
◆ 2012 Va in Cina per studiare il mandarino, perché è appassionato dei film d’azione con Jackie Chan.
◆ 2014 Pubblica video musicali in cui canta in mandarino.
◆ 2017 Entra a far parte del gruppo musicale Foundation band.
◆ 2019 Torna in Zimbabwe, che è nel pieno di una grave crisi economica.
◆ 2025 Lavora come traduttore in Zimbabwe e continua a comporre musica.
Ricominciare da zero
Nella sua famiglia la musica ha un ruolo importante: il fratello maggiore scriveva canzoni, mentre il più piccolo suona il pianoforte.
Nel 2012, dopo il diploma, Stak ha deciso di studiare il mandarino in Cina, spinto dall’amore per i film d’azione con Jackie Chan. A vent’anni si è trasferito a Shanghai.
All’epoca lo Zimbabwe si stava allontanando dall’occidente con la politica della “svolta a est” adottata dal leader Robert Mugabe, che voleva rispondere alle sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea dopo le elezioni del 2002 segnate dalle violenze.
Mugabe aveva aperto le porte dello Zimbabwe all’Asia, innescando un forte flusso di investimenti cinesi e spingendo molti cittadini a trasferirsi in Cina per lavorare o per studiare.
Nel 2014 Stak ha cominciato a pubblicare su Douyin video in cui cantava in mandarino: “Volevo esplorare la musica usando una lingua diversa”, spiega. In quel periodo cantava brani pop, r&b e hip-hop, in mandarino e in inglese. Una dopo l’altra sono arrivate le offerte per esibirsi in pubblico.
“Il mio primo concerto è stato al Yuyingtang, un bar di Shanghai”, racconta. La sala non era molto grande, ma ha guadagnato 1.500 dollari, abbastanza da pagarsi vitto e alloggio per mesi. Poi ha suonato in altri bar, ai festival, ai matrimoni e nei locali, cantando soprattutto in mandarino. Dei 37 brani che ha registrato, uno è entrato nella top 10 del servizio di streaming musicale cinese Baidu Music. “Per me ha significato tanto”, spiega Stak con emozione, anche se in quel caso i guadagni sono stati contenuti: solo cinquemila yuan (865 dollari).
Nel 2017 è entrato a far parte della Foundation band, un gruppo di musicisti africani, statunitensi ed europei che suonava pop e hip-hop cinese e occidentale ai matrimoni e nei locali la sera.
Come voce principale, ha attirato l’attenzione delle emittenti tv, partecipando a programmi sui canali più importanti. “Il successo mi ha sorpreso”, confessa.
In Cina Stak faceva una bella vita: la sua routine quotidiana consisteva in “mangiare, cantare e bere”. Il suo piatto preferito era uno stufato in cui i commensali cucinano gli ingredienti crudi, come il pesce e i frutti di mare, in una pentola condivisa piena di brodo e sistemata al centro del tavolo.
Stak si esibiva la sera, dunque durante il giorno passeggiava sul lungofiume di Shanghai, con la sua architettura di epoca coloniale e i bar sui tetti. Guadagnava bene. “La paga per gli artisti è ottima. Per uno spettacolo di dieci minuti incassi minimo mille dollari”.
A differenza di molti artisti stranieri che si esibivano in inglese e spesso non erano apprezzati nel mercato cinese, Stak aveva un vantaggio: era un africano che cantava in mandarino. Poter eseguire i brani cinesi più popolari gli ha fatto conquistare l’affetto del pubblico.
Ma nel 2019 il suo visto è scaduto. A 27 anni è tornato in un paese nel pieno di una crisi economica gravissima. I suoi genitori – il padre è un ingegnere, la madre un’insegnante – riuscivano a sbarcare il lunario, ma la popolazione era in grande difficoltà a causa dell’iperinflazione, della carenza di valuta estera e di un tasso di disoccupazione superiore al 50 per cento.
Stak ha trovato lavoro come traduttore e ha scoperto presto che l’ambiente musicale e quello dei social network dello Zimbabwe gli erano estranei. Gran parte del suo successo dipendeva dalle app cinesi come Douyin, disponibili solo in Cina. La sua carriera si è volatilizzata quando ha lasciato Shanghai. “Una parte di me è rimasta in Cina”, dice.
In Zimbabwe nessuno lo conosceva. Stak ha cominciato a registrare alcuni brani – valutando di passare al gospel, molto popolare nel paese – ma non è riuscito a promuovere i pezzi. Ha contattato una radio locale per chiedere di trasmettere le sue canzoni e non ha ricevuto risposta. È convinto che se i social network cinesi fossero accessibili a un pubblico internazionale, avrebbe ancora una carriera di successo.
Per ora il lavoro di traduttore rende bene. Nel tempo libero cerca di scrivere canzoni, ma non ha molto spazio per reinventarsi o trovare un pubblico per la sua musica. Oggi è combattuto: sogna di tornare in Cina, ma allo stesso tempo gli piacerebbe costruire la sua carriera musicale in Zimbabwe, dove spera di sposarsi e mettere su famiglia.
“Voglio ripartire da zero qui”, spiega. “Però mi manca la Cina”, perché lo ha “accolto in modo splendido”. In ogni caso, non vede l’ora di tornare sul palco. “Ho nostalgia dei riflettori”. Un paio di mesi fa il suo capo cinese ha caricato online un video che lo ritrae mentre canta in mandarino. “Mi ha messo nel suo status di WeChat e la gente gli chiedeva notizie di me”. Fa una pausa, poi aggiunge: “I cinesi mi amano”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati