“Non ci sono parole per descrivere questo orrore. Quello che è successo nella scuola di Graz colpisce il cuore stesso del nostro paese”. Non c’è niente da aggiungere a quello che ha detto il presidente della repubblica Alexander Van der Bellen dopo i fatti del 10 giugno a Graz, in Austria. Quel giorno un ragazzo ha aperto il fuoco nella scuola che aveva frequentato a Graz, uccidendo dieci persone, e poi si è suicidato, lasciando i sopravvissuti alle prese con un dolore indicibile e sconvolgendo tutta l’Austria. È comprensibile quindi cercare di capire perché sia successo e cercare così di sottrarsi al senso d’impotenza suscitato dalla strage.
È giusto anche interrogarsi sui piani di prevenzione e di sicurezza adottati dalle istituzioni scolastiche. Le scuole sono preparate a situazioni simili? Ma, in fondo, ci si può davvero preparare a una cosa del genere? La risposta a queste domande varia a seconda del luogo in cui si trova la scuola. In Austria non esiste un piano o una direttiva unitaria del ministero dell’istruzione. Chiedere alle singole scuole di preparare internamente dei piani d’emergenza sarebbe facile. Ma questo graverebbe ulteriormente su un personale docente già carico di compiti amministrativi. E poi, in una materia così delicata come quella della sicurezza, servirebbero comunque degli esperti capaci di mettere a punto progetti specifici per ogni scuola.
Nel dibattito sulla strage di Graz oltre che dei piani d’emergenza, delle leggi sulle armi e dei moventi degli assassini, dovremmo occuparci dei giovani
Alcuni istituti hanno già preso delle misure autonomamente, come sistemi di chiusura centralizzata delle aule, allarmi speciali diversi dalle sirene antincendio e perfino piani di evacuazione da ripetersi più volte all’anno, un po’ come succede con le esercitazioni antincendio.
Nel dibattito che si è aperto dopo l’attentato di Graz alcune persone hanno fatto richieste ulteriori, per esempio augurandosi controlli più rigorosi all’ingresso delle scuole e la sorveglianza della polizia, misure purtroppo da tempo necessarie per istituzioni ed eventi che coinvolgono minoranze sociali, come la comunità ebraica.
Queste riflessioni sono necessarie e una pianificazione adeguata può salvare delle vite umane. Ma una società democratica ha bisogno di scuole aperte. Per questo i piani di sicurezza non devono farci perdere di vista l’obiettivo principale, cioè rendere le scuole luoghi accoglienti in cui gli studenti e il personale scolastico possano sentirsi a proprio agio. Anche questa è una misura preventiva, e trasformare i nostri istituti in fortezze non aiuta certo a renderli dei luoghi più ospitali.
Se si pensa a quante persone diverse tutti i giorni s’incontrano a scuola e passano del tempo insieme in gruppi formati casualmente – e si trovano a dover affrontare le più diverse esigenze e opinioni – è impressionante il lavoro di gestione dei conflitti e delle crisi che viene svolto da chi lavora in quel contesto.
È proprio questo lavoro che meriterebbe maggiore sostegno. Si potrebbero, per esempio, estendere ulteriormente i servizi di aiuto psicologico e socio-pedagogico per gli studenti, andrebbe migliorato il sostegno al personale docente, in particolare per gli insegnanti appena entrati in servizio, e bisognerebbe offrire a tutti una supervisione, senza far ricadere i costi sul personale. Riflettere sul proprio lavoro e prendersi una pausa dalle attività quotidiane aiuta a costruire relazioni positive con gli studenti e a risolvere i problemi: sarebbero quindi principalmente gli allievi a beneficiarne.
Se è vero che il movente della maggior parte degli omicidi di massa non è da cercare nell’ambiente circostante, ma nella disposizione psicologica di chi li commette, è altrettanto evidente che oggi troppi giovani si sentono oppressi, depressi, incapaci di trovare piacere e significato nella propria vita (senza neanche, tra l’altro, ribellarsi al sistema).
Nel dibattito attuale, oltre che dei piani d’emergenza, delle leggi sulle armi e dei moventi degli assassini, dovremmo occuparci proprio dei giovani. I disturbi mentali sono aumentati tra le nuove generazioni, soprattutto dopo la pandemia. A questo si aggiunge il modo in cui i social media amplificano i problemi sociali. La loro pericolosità per i più giovani è riconosciuta da tempo e richiederebbe urgentemente l’approvazione di leggi apposite.
L’opinione pubblica, i mezzi d’informazione e i politici dovrebbero cominciare a parlare della strage di Graz in modo diverso: non dovrebbero solo concentrarsi sul movente dell’aggressore o sul fallimento del sistema scolastico nel suo complesso, ma discutere su come rendere le scuole un posto ancora più accogliente. Un posto in cui poter praticare la convivenza e dove bambine e bambini, ragazze e ragazzi e personale scolastico possano ricevere il sostegno di cui hanno bisogno. ◆ nv
Questo articolo è uscito sul quotidiano austriaco Der Standard.
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Questo articolo è uscito sul numero 1620 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati