La disperazione dona ai Geese. L’abbiamo capito soprattutto con l’album solista Heavy metal del loro cantante Cameron Winter, capace con la voce di attirare la nostra attenzione in modi contrastanti e poi spezzarci il cuore. Nessun artista prima di lui aveva borbottato le parole “fuck these people” in maniera così intensa in una ballata. Con il sorprendente successo di quel disco, un gruppo meno ingegnoso avrebbe potuto farsi addomesticare dall’industria e livellare le eccentricità. Invece Getting killed è il loro lavoro più strano. È musica ansiosa e frammentata, che può diventare un urlo paranoico come una dichiarazione d’amore. Grazie al supporto del produttore Kenny Beats, la band newyorchese esplora suoni stridenti senza stare dietro alle strutture più tradizionali del rock. Tuttavia sembra che si trovino a loro agio sia in territori selvaggi sia con inni da festival, come Taxes o Half real. La fortuna inaspettata del disco di Winter, dovuta anche ad aspettative basse, ha fatto sì che ora i Geese possano proporre a un pubblico più vasto la loro opera più idiosincratica, anche se una cosa fa parte del loro dna fin dall’inizio: una curiosità indomabile che non ha bisogno della saggezza.
Sam Sodomsky, Pitchfork
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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati