Collaborazione, umiltà e un’immersione nel folk, blues e gospel statunitensi attraversano l’opera di Robert Plant dopo i Led Zeppelin. L’umiltà non è certo il primo termine associato a uno dei frontman più famosi e vanitosi degli anni settanta, ma con la nuova band Saving Grace – che dà il titolo all’album – Plant incarna proprio questo spirito. Dopo i progetti con i Band of Joy, Alison Krauss e i Sensational Shape Shifters, ha scelto musicisti incontrati vicino a casa, nel confine gallese, con cui suona dal 2019. La formazione comprende Suzi Dian (voce, fisarmonica), Matt Worley (banjo, cuatro, chitarra), Tony Kelsey (chitarre), Oli Jefferson (batteria) e Barney Morse-Brown (violoncello). Il repertorio unisce tradizionali come Gospel plough a cover di Donovan, Moby Grape, The Low Anthem e Sarah Siskind, con arrangiamenti che intrecciano voci maschili e femminili, banjo, chitarra baritona, violoncello e bordoni. In diversi brani è la voce di Dian, più che quella di Plant, a emergere come guida. Saving grace non reinventa la tradizione, ma la rilegge con intensità e armonie raffinate.
Jim Hynes, Glide

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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati