“Mia moglie”, il gruppo Facebook italiano che aveva quasi trentaduemila iscritti, “aveva un nome relativamente innocuo”, scrive Michael Braun, corrispondete in Italia del quotidiano berlinese Die Tageszeitung. “Gli uomini che ne facevano parte però non condividevano esperienze e problemi coniugali, ma pubblicavano le foto di mogli, fidanzate ed ex, a volte in biancheria intima, in bikini o nude. Facevano anche delle domande agli altri utenti: ‘Cosa ne pensi?’, o ‘cosa le faresti?’. Le risposte andavano da ‘Se non la scopi, lo faccio io’, a ‘la stuprerei’. Il gruppo, aperto a tutti, era attivo dal 2019”. Oltre agli insulti sessisti erano pubblicate foto di donne senza che avessero dato il loro consenso. Meta, l’azienda proprietaria di Facebook, non aveva mai chiuso la pagina perché sosteneva che non commetteva nessun reato. “Un’infermiera toscana aveva segnalato il contenuto alla polizia postale, che però non si era attivata. Solo quando la scrittrice Carolina Capria ha denunciato la vicenda su Instagram, facendo scoppiare lo scandalo, Facebook ha chiuso il gruppo, affermando che violava le norme interne contro lo sfruttamento sessuale”, spiega il quotidiano tedesco.

A questa vicenda ne è seguita una molto simile che ha coinvolto il sito Phica.net, chiuso il 28 agosto dopo una serie di proteste e denunce. “Il sito pubblicava foto e video non autorizzati”, scrive Giada Zampano sull’agenzia di stampa Associated Press, “di centinaia di personaggi pubblici. Tra loro la presidente del consiglio Giorgia Meloni, la parlamentare europea Alessandra Moretti, ma anche attrici, influencer e donne comuni. Tutte ignare. Le immagini erano spesso tratte da siti di emittenti televisive o dai social media. Inoltre c’erano messaggi che idealizzavano la violenza contro le donne. Il forum online esisteva da almeno vent’anni, ma ha attirato l’attenzione nazionale solo dopo che Moretti, avendo scoperto che una sua foto era stata pubblicata senza il suo permesso, lo ha denunciato alla polizia”. “L’Italia ha difficoltà a prevenire e affrontare la violenza di genere”, scrive Zampano, “visto che i femminicidi (l’uccisione di donne motivata dal genere) sono un problema sistemico profondamente radicato nella cultura patriarcale italiana. Una serie di episodi di violenza ha riacceso il dibattito nazionale su come affrontare questi crimini”.

Su Le Monde il corrispondente Allan Kaval osserva: “A quasi due anni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, la studente ventiduenne accoltellata dal suo ex compagno, una vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica e riaperto il dibattito sulla violenza contro le donne, la società italiana si trova ad affrontare un nuovo momento di riflessione. Personaggi pubblici denunciano sempre più spesso la diffusione online di immagini degradanti e sessualmente esplicite, tra cui fotomontaggi osceni che prendono di mira centinaia di donne”. Il quotidiano francese riporta l’opinione della filosofa Giorgia Serughetti: “La violenza è un linguaggio tra uomini prima di essere un atto diretto contro una donna”. “Anche se il revenge porn è un reato in Italia dal 2019”, continua il quotidiano francese, “Serughetti denuncia l’ipocrisia del governo, che condanna la violenza ma ostacola gli sforzi per avere dei percorsi educativi alle questioni di genere e all’affettività, respinti dai settori conservatori del suo elettorato”.

“Uno studio del 2019 condotto dall’Università degli studi di Milano”, scrive Angela Giuffrida, corrispondente dall’Italia del Guardian, “ha rilevato che il 20 per cento delle italiane ha subìto una qualche forma di condivisione non consensuale di foto intime”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati