Stati Uniti

È passato mezzo secolo da quando la corte suprema statunitense si è espressa in favore di Mary Beth Tinker, una studente di 13 anni che era stata sospesa per aver indossato a scuola una fascia nera al braccio in segno di protesta contro la guerra del Vietnam. All’epoca i giudici stabilirono che né gli insegnanti né gli studenti “perdono i propri diritti costituzionali una volta entrati a scuola”, precisando però che questo non vale per i discorsi che potrebbero causare disagi “materiali e sostanziali”. Il caso Mahanoy area school district contro B.L., su cui i giudici della corte si sono ritirati per deliberare il 28 aprile, riguarda invece la possibilità che la scuola punisca anche le espressioni lesive che vengono pronunciate fuori degli istituti.

Negli Stati Uniti gran parte del dibattito su ciò che può essere detto riguarda casi in cui gli studenti chiedono agli amministratori di stabilire dei limiti. Stavolta invece è il contrario. Nel 2017, quando aveva scoperto di non essere stata inserita nella prima squadra delle cheerleader, Brandi Levy si era sfogata su Snapchat: nel fine settimana aveva pubblicato un’immagine del suo dito medio con la didascalia “fanculo la scuola, fanculo il softball e fanculo tutto”. Il messaggio non era piaciuto agli allenatori, che l’avevano estromessa dalla squadra per un anno. La ragazza allora aveva sporto denuncia e due tribunali avevano stabilito che la punizione violava la sua libertà di espressione. La corte d’appello aveva sancito che le scuole possono punire gli studenti per le espressioni pronunciate durante le ore di lezione, nei corridoi o durante le gite scolastiche, non al di fuori degli istituti.

La scuola ovunque

Durante il dibattito alla corte suprema l’avvocato David Cole, dell’American civil liberties union, ha difeso il diritto di Levy a sfogarsi su Snapchat senza doverne rispondere ai dirigenti scolastici precisando che se frasi offensive espresse lontano dalla scuola possono creare un problema per gli studenti, allora i ragazzi “porterebbero con sé la scuola ovunque vadano” e non avrebbero uno spazio per scambiarsi idee e discutere su temi legati alla scuola.

Il giudice Brett Kavanaugh si è mostrato solidale con Levy, sottolineando che perfino Michael Jordan s’infuriò dopo essere stato escluso dalla squadra di basket delle superiori. Kavanaugh però ha condiviso l’opinione del giudice Stephen Breyer, convinto che non spetti al tribunale “scrivere un trattato sul primo emendamento” a proposito dei limiti all’espressione degli studenti nell’epoca di internet.

Kavanaugh ha suggerito che al massimo i giudici potrebbero cancellare la distinzione tra le espressioni all’interno e all’esterno delle strutture scolastiche, e poi rinviare la questione a un tribunale inferiore per stabilire se lo sfogo di Levy abbia creato un disagio concreto meritevole di una punizione. Breyer ha comunque notato che se si dovessero considerare fonti di danno gli insulti pronunciati fuori dalle scuole, “tutti gli istituti del paese non farebbero altro che punire gli studenti”. Queste esitazioni potrebbero favorire la posizione della scuola, rappresentata da Lisa Blatt, secondo cui se le scuole non possono intervenire in caso di espressioni pronunciate fuori dalla struttura non sono in grado di assolvere al loro ruolo di responsabili del benessere degli studenti in vece dei genitori.

Il verdetto della corte suprema, previsto per giugno, potrebbe avere conseguenze non solo sui cinquanta milioni di studenti delle scuole pubbliche, ma anche sui limiti della libertà di espressione nelle università pubbliche: i post satirici o critici su Instagram e Facebook nei confronti dei dirigenti hanno creato diversi problemi agli studenti universitari. Questo potrebbe cambiare se la corte dovesse esprimersi a favore della libertà di espressione degli studenti su internet. Ma vista la reticenza dei giudici, una simile conclusione sembra poco probabile. L’arringa conclusiva di Blatt potrebbe aver fatto presa su di loro: secondo l’avvocata limitare l’autorità scolastica in questo ambito provocherebbe “follia, confusione e caos”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1408 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati