crisi climatica
Al largo dell’isola spagnola di Formentera, nel mar Mediterraneo, vive un organismo lungo quindici chilometri, la Posidonia oceanica. Questa pianta acquatica cresce estendendo le radici sotto i sedimenti, quindi praterie di vari ettari possono essere formate da un unico organismo. La posidonia è anche molto longeva: quella di Formentera potrebbe avere decine o addirittura centinaia di migliaia di anni.
La Posidonia oceanica è molto più di una semplice curiosità biologica. Come altri due ecosistemi costieri – le foreste di mangrovie e le paludi marine – assorbe l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e la converte in materia vegetale. I tre ecosistemi sono quindi molto importanti per contrastare la crisi climatica. Lo conferma l’Unesco in un rapporto presentato il 2 marzo sul cosiddetto carbonio blu (blue carbon), cioè l’anidride carbonica catturata dagli ecosistemi marini e costieri del nostro pianeta. In totale circa 33 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (pari a tre quarti delle emissioni globali del 2019) sono immagazzinate in questi ecosistemi. Il rapporto, messo a punto da un team guidato da Carlos Duarte, ecologo marino dell’università saudita Re Abdullah, dimostra che un ettaro di posidonia può assorbire in un anno la stessa quantità di anidride carbonica di quindici ettari di foresta pluviale.
Processi naturali
Tutto questo ha suscitato l’interesse di chi, per eliminare i gas serra dall’atmosfera, preferisce i processi naturali alle tecnologie umane. Nel 2018 l’ong Conservation international ha raggiunto un accordo con l’azienda statunitense Apple per proteggere undicimila ettari di mangrovie lungo la costa della Colombia. L’obiettivo è incamerare un milione di tonnellate di anidride carbonica.
Uno dei motivi per cui gli ecosistemi acquatici sono così efficienti è che sono più fitti rispetto alle foreste terrestri. Inoltre, intrappolano anche i residui galleggianti e la materia organica, che posandosi sui fondali marini può raddoppiare l’anidride carbonica immagazzinata. Hanno anche un altro vantaggio: non bruciano. Il riscaldamento globale sta moltiplicando gli incendi in tutto il mondo e, quando vanno in fiamme, le foreste sprigionano nell’atmosfera l’anidride carbonica intrappolata. Gli incendi più gravi possono anche inibire per sempre le capacità di assorbimento di una foresta. In uno studio pubblicato su Nature Ecology and Evolution, i ricercatori dell’università di Stanford, negli Stati Uniti, affermano che gli incendi ripetuti favoriscono le specie di alberi a crescita lenta, più adatte a sopravvivere al fuoco ma meno capaci di assorbire l’anidride carbonica rispetto a quelle a crescita veloce.
Pur essendo immuni agli incendi, le foreste sommerse sono esposte ad altri rischi. Nel maggio scorso il ciclone Amphan ha distrutto 1.200 chilometri quadrati di mangrovie al confine tra il Bangladesh e lo stato indiano del Bengala Occidentale, mentre tra il 2010 e il 2011 un’ondata di calore ha danneggiato circa un terzo della prateria di posidonia più grande del mondo, quella della baia degli Squali, in Australia (nei tre anni successivi le piante hanno reimmesso nell’atmosfera il carbonio immagazzinato).
Un disastro ecologico più antico dimostra però che rimediare è possibile. Durante la guerra del Vietnam il napalm e un cocktail di erbicidi distrussero più di metà delle mangrovie del delta del Mekong, ma uno studio pubblicato nel 2014 dalla International society for mangrove ecosystems sottolinea come un imponente programma postbellico abbia ripristinato le foreste nel giro di vent’anni.
Questi ecosistemi non si limitano a fare da spugne per i gas serra, ma proteggono anche le coste più vulnerabili dai cicloni. Uno studio condotto in 59 paesi subtropicali ha calcolato che ogni anno le foreste di mangrovie, in quanto barriere naturali contro le onde di tempesta, contribuiscono a proteggere più di 15 milioni di persone e fanno risparmiare più di 65 miliardi di dollari di potenziali danni materiali. La necessità di tutelarle e ampliarle, quindi, è più che ovvia. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati