Il 14 settembre Sushila Karki, la nuova premier ad interim del Nepal, si è impegnata a restare alla guida del paese “per non più di sei mesi” e a rispondere alle richieste dei giovani manifestanti che chiedono “la fine della corruzione”, dopo le violenze che avevano costretto il suo predecessore alle dimissioni.

“Lavorerò tenendo a mente le aspirazioni della generazione Z”, ha affermato Karki, 73 anni, ex presidente della corte suprema.

“Chiedono la fine della corruzione, un buon governo e l’uguaglianza economica”, ha dichiarato, aggiungendo di essere determinata “a raggiungere l’obiettivo”.

Tra l’8 e il 9 settembre almeno 72 persone sono morte e 191 sono rimaste ferite nelle violenze scoppiate durante le manifestazioni antigovernative nella capitale Katmandu, secondo un nuovo bilancio fornito il 14 settembre dal segretario in capo del governo, Eaknarayan Arya.

Il 14 settembre Karki ha osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime.

La premier si è impegnata a rimanere in carica non oltre le prossime elezioni legislative, previste il 5 marzo 2026.

Il suo nome era emerso all’inizio della scorsa settimana sui social network, soprattutto in ambienti vicini alla contestazione, come possibile candidata per guidare un governo ad interim.

Nota per la sua autonomia e la sua schiettezza, la sua nomina era stata oggetto di intense trattative tra il presidente Ram Chandra Paudel e il capo dell’esercito Ashok Raj Sigdel.

La crisi – la più sanguinosa a colpire il Nepal dall’abolizione della monarchia nel 2008 – era cominciata l’8 settembre, quando la polizia aveva represso brutalmente le manifestazioni in varie città del paese contro un blocco dei social network e contro la corruzione.

Nonostante il ripristino dei social network, l’impegno ad aprire un’inchiesta sulle violenze della polizia e le dimissioni del primo ministro K.P. Sharma Oli, la rabbia dei manifestanti non era diminuita.

Il 9 settembre gruppi di manifestanti avevano sfidato il coprifuoco per attaccare edifici pubblici, residenze di leader politici e altri simboli del potere. Tra le altre cose avevano incendiato il parlamento e la residenza del premier dimissionario.

Inoltre, migliaia di detenuti avevano approfittato dei disordini per evadere da varie prigioni del paese. Più di 12.500 risultano ancora latitanti.