La giustizia statunitense ha sospeso il 31 agosto l’espulsione di più di seicento minorenni guatemaltechi non accompagnati, infliggendo una nuova battuta d’arresto al presidente Donald Trump e alla sua linea dura sull’immigrazione.

I minorenni rischiavano di essere espulsi verso il loro paese d’origine, come prevede un accordo firmato da Stati Uniti e Guatemala, secondo un documento giudiziario del tribunale federale della capitale Washington.

La giudice ha sospeso per quattordici giorni il rimpatrio dei minorenni, rappresentati dal National immigration law center (Nilc), un’ong per la difesa dei migranti, in una causa civile collettiva contro la ministra della sicurezza interna Kristi Noem.

L’ong ha accusato l’amministrazione Trump di aver “strappato bambini vulnerabili e spaventati dai loro letti”, e di “volerli ora mettere in pericolo” rispedendoli nel loro paese d’origine.

“Siamo confortati dal fatto che il tribunale sia intervenuto per impedire un’ingiustizia nei confronti di centinaia di bambini, ai quali sarebbe stata inflitta una sofferenza irreparabile”, ha dichiarato in un comunicato Efren Olivares del Nilc.

Secondo l’ong, i minorenni guatemaltechi rischierebbero, in caso di espulsione, “di essere esposti a una serie di pericoli e a possibili persecuzioni”.

La decisione del tribunale federale di Washington, anche se temporanea e soggetta ad appello, costituisce una nuova battuta d’arresto per l’amministrazione Trump sull’immigrazione.

Il 29 agosto un’altra giudice federale aveva bloccato una procedura di “espulsione accelerata” degli stranieri privi di documenti arrestati di recente al confine con il Messico.

La procedura, che non prevede udienze in tribunale, è contraria a una disposizione costituzionale in base alla quale “nessuno può essere espulso dagli Stati Uniti senza la possibilità di essere ascoltato”.