Il 13 giugno i deputati mongoli hanno nominato primo ministro Gombojav Zandanshatar, 55 anni, ex presidente del parlamento, dopo che il suo predecessore si era dimesso in seguito a un’ondata di proteste anticorruzione.

Nelle ultime settimane migliaia di giovani avevano manifestato nella capitale Ulan Bator, esprimendo la loro sfiducia nei confronti di una classe politica accusata di essere in gran parte corrotta, in un contesto di difficoltà legate all’aumento del costo della vita.

I manifestanti chiedevano in particolare le dimissioni del premier Luvsannamsrain Oyun-Erdene, che si era poi fatto da parte il 3 giugno dopo un voto di sfiducia in parlamento.

Come il suo predecessore, Zandanshatar è membro del Partito del popolo mongolo.

È stato eletto con 108 voti a favore su 117 deputati presenti.

In un discorso tenuto dopo la sua elezione, ha sottolineato “l’urgenza di stabilizzare l’economia e migliorare le condizioni di vita dei cittadini”.

Zandanshatar è una figura di spicco della politica mongola da circa due decenni.

È stato ministro degli esteri, capo di gabinetto dell’attuale presidente Ukhnaagiin Khürelsükh e presidente del parlamento all’epoca dell’adozione di importanti riforme costituzionali, nel 2019.

Da decenni la Mongolia, un paese di 3,4 milioni di abitanti stretto tra la Cina e la Russia, è afflitta da una corruzione endemica, mentre le élite sono accusate d’impadronirsi dei proventi dell’industria mineraria, che è in piena espansione.

Negli ultimi anni il paese ha perso molte posizioni nell’indice di percezione della corruzione (Cpi) messo a punto dall’ong Transparency international.