Ammettiamolo: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, lo scorso 20 gennaio, Donald Trump ha dominato l’attualità per tutto l’anno, nella forma e nella sostanza. Non è trascorso quasi un giorno senza che arrivasse una dichiarazione o un post del presidente, con la conseguente sorpresa del resto del mondo. Una strategia dell’attenzione che è stata ampiamente teorizzata.
Ma ha avuto effetti anche in profondità: Trump ha minato l’ordine mondiale nato dopo la seconda guerra mondiale, ha ignorato il diritto che regola i rapporti tra gli stati, ha cambiato la globalizzazione con i suoi dazi doganali e ha indebolito le alleanze degli Stati Uniti (vedi Nato) e le organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu.
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Cosa succede negli Stati Uniti. A cura di Alessio Marchionna. Ogni domenica.
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Il presidente statunitense sostiene di aver messo fine a otto guerre, ma la verità è che due dei principali conflitti in cui gli Stati Uniti sono coinvolti, Ucraina e Palestina, sono ancora in corso. Una delle peggiori immagini dell’anno che sta per chiudersi è quella dell’umiliazione inflitta al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj alla Casa Bianca, a febbraio, a cui ha fatto da contraltare il tappeto rosso steso per Vladimir Putin in Alaska ad agosto. Nel frattempo la guerra, la stessa che durante la campagna elettorale per le presidenziali Trump aveva promesso di risolvere in 24 ore, continuerà fino a quando il presidente statunitense non ammetterà che Putin non vuole alcun compromesso, ma solo una vittoria totale.
La “dottrina Trump” che sta prendendo forma non somiglia a ciò che immaginavamo alla luce del suo primo mandato. Due esempi: Trump vuole evitare “guerre senza fine” come quelle combattute dagli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq, ma allo stesso tempo non esita a usare l’esercito, deludendo l’ala isolazionista del suo movimento. Lo ha fatto in Yemen, in Iran, al largo del Venezuela e qualche giorno fa anche in Siria, contro il gruppo Stato islamico dopo la morte dei primi soldati statunitensi durante la sua presidenza. L’esercito, libero da ogni vincolo legale, è uno strumento politico di potenza a disposizione dell’esecutivo, perfino all’interno degli Stati Uniti.
Secondo esempio: la politica illustrata nella recente strategia di sicurezza nazionale resuscita la cosiddetta dottrina Monroe sull’America Latina, vecchia di due secoli e basata sull’idea che gli Stati Uniti debbano mantenere l’egemonia nel loro emisfero. Le pressioni nei confronti del Venezuela lo dimostrano.
Cosa possiamo aspettarci nel 2026? Per Trump la posta in gioco sarà doppia: sul fronte internazionale dovrà definire la posizione di Washington nei confronti della Cina, unico vero rivale del ventunesimo secolo e unico paese ad aver dimostrato nel 2025 di poter resistere all’impeto americano. Trump visiterà Pechino ad aprile, in un viaggio determinante per i rapporti sino-americani ma anche per il resto del mondo.
La sfida sarà anche interna, con le elezioni di metà mandato che si terranno a novembre. Trump ha registrato un forte calo della sua popolarità, perdendo di recente tutte le elezioni locali, a cominciare da quelle per i sindaci di New York e (fatto ben più sorprendente) Miami. I democratici faranno di tutto per sfruttare il malcontento e prendersi la rivincita al congresso.
I problemi di Trump sono tre: Epstein, il miliardario condannato per reati sessuali le cui foto appena pubblicate mostrano la portata della connivenza dell’élite statunitense, Trump compreso; l’affordability, parola inglese che descrive il costo della vita, sempre più insostenibile per molti americani, nonostante le smentite del presidente; e infine le divisioni che spaccano il fronte Make America great again (Maga). Trump avrà dieci mesi di tempo per far tornare se stesso “great again”. Non sarà facile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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