La notizia è sconcertante. Poche ore prima del processo d’appello nei confronti di Christophe Gleizes, il giornalista francese detenuto in Algeria da un anno e mezzo, tutti i segnali provenienti da Algeri erano positivi. Eppure il verdetto arrivato la sera del 3 dicembre è implacabile: sette anni di carcere, con la conferma della sentenza di primo grado. Gleizes è accusato di “apologia del terrorismo” nel contesto della sua visita in Algeria per un reportage sul calcio in Cabilia.

Dopo la liberazione dello scrittore franco-algerino Boualem Sansal, arrivata il mese scorso, Parigi e Algeri sembravano ormai avviate verso la distensione al termine di un lungo periodo di gelo. Ci si aspettava che la liberazione di Gleizes sarebbe seguita a quella di Sansal. Il rilascio dei due prigionieri avrebbe permesso di ripristinare i contatti politici ad alto livello, compresi quelli tra i due presidenti, Emmanuel Macron e Abdelmajid Tebboune.

Le speranze erano alimentate anche dal fatto che il processo si è svolto secondo le regole. I due avvocati del giornalista, uno algerino e l’altro francese, hanno potuto difendere la sua causa per un’ora ciascuno. Arrivato da Parigi, Emmanuel Daoud ha avuto la possibilità di parlare in francese e non in arabo, come normalmente richiesto. I due avvocati hanno potuto dimostrare che le accuse erano infondate. Il giornalista ha ammesso solo una colpa, quella di essere entrato nel paese con un visto turistico. Questo, però, non lo rende certo un terrorista.

Per quale motivo la sentenza è stata così dura, sconvolgendo Gleizes, la sua famiglia, gli amici e anche le autorità francesi? Doppio gioco o battaglia per l’influenza all’interno del governo di Algeri? L’opacità del sistema algerino alimenta le speculazioni.

Il ricorso o la grazia

Questo schiaffo mette in imbarazzo il governo francese. Dopo la liberazione di Sansal, diversi ministri avevano elogiato l’efficacia della via diplomatica rispetto al metodo più aggressivo sostenuto da Bruno Retailleau, leader del partito di destra I Repubblicani, quando era ministro dell’interno. Il 3 dicembre la diplomazia è andata a sbattere contro un muro.

Ai servizi dello stato spetta il compito di capire cosa è successo prima di decidere come gestire l’evoluzione dei rapporti con Algeri. Per ora ci sono ancora troppe incognite, per esempio quello che Algeri avrebbe voluto ricevere in cambio da Parigi. In ogni caso è difficile fare finta che non sia successo nulla. Questo nuovo ostacolo sulla via della normalizzazione potrà essere superato solo attraverso un’azione ai più alti livelli, su entrambe le sponde del Mediterraneo.

Cosa succederà ora? Tra otto giorni Gleizes e i suoi avvocati decideranno se fare ricorso in cassazione o giocarsi la carta di una grazia presidenziale, come è avvenuto per Sansal. Finora i legali del giornalista hanno seguito la via formale della giustizia algerina, sperando che l’appello permettesse di mettere fine al calvario di Gleizes. Che fiducia possono avere a questo punto nel continuare una procedura giudiziaria che appare completamente politicizzata?

In Francia ci sarà di certo una campagna di solidarietà con questo giornalista sportivo appassionato di calcio e conoscitore del campionato algerino. Varie personalità del mondo dello sport e società calcistiche hanno già espresso il loro sostegno a Gleizes e si preparano a mobilitarsi nei prossimi giorni.

Ma alla fine dei conti il destino di Gleizes è nelle mani dei due presidenti, Tebboune e Macron. Tocca a loro mettere fine al più presto alla persecuzione di un giornalista che non ha nessun motivo di trovarsi in una cella algerina.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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