Giocare all’aperto è la gioia più grande del mio gatto. Durante i lunghi inverni del Maine guarda malinconico fuori dalla finestra. Appena si scioglie la neve schizza fuori per arrampicarsi sugli alberi e correre in giro. Tutta la strada lo conosce per nome: Jasper. I bambini ci giocano, segue il postino di porta in porta, una vicina gli ha perfino fatto delle foto e le ha incorniciate per regalarmele.
Jasper adora le persone e i cani, ma detesta i gatti. Quasi ogni giorno ne sento uno che urla, e so che la colpa è sua. Non che voglia azzuffarsi, ma li bracca, li intimidisce, li insegue, spesso fino a quando l’altro gatto comincia a urlare, scappa e si rifugia in casa sua. Alcuni vicini, a loro volta padroni di gatti, mi hanno detto: ‘Adoro Jasper, è così simpatico! Ma tormenta il mio gatto’. Altri hanno detto solo: ‘Tormenta il mio gatto’.
Chiudere Jasper in casa significherebbe peggiorare la qualità della sua vita, e forse rattristerebbe anche chi gli vuole bene. Ma so che molesta diversi gatti del vicinato. Cosa dovrei fare, da un punto di vista etico?.–Heather Steeves, Maine
Vuoi bene a Jasper, e quindi giustamente dai molto peso alla sua felicità. E visto che andandosene in giro dà piacere anche ad altre persone, è chiaramente una fonte di gioia per molti. Ma per gli altri gatti – e per molti dei loro proprietari – è una fonte di preoccupazione. Immagino che non ci sia una soluzione facile: quasi tutti i gatti domestici sono sterilizzati e se il tuo fosse un maschio non castrato l’avresti detto. Potresti consultare un veterinario o un esperto di comportamento animale per vedere se c’è qualcos’altro da fare per correggere le sue brutte abitudini. Ma supponiamo che non ci sia nulla da fare, come affrontare questo dilemma?
Un approccio è quello che si basa sui diritti: dovresti assicurarti di non negare ai gatti del vicinato le condizioni fondamentali per una buona qualità della loro vita. Le scorribande di Jasper compromettono la loro sicurezza e libertà? Le sue vittime feline hanno diritto a un po’ di pace? Tra i filosofi del benessere animale infuria la battaglia: c’è chi sostiene che gli animali hanno dei diritti e chi lo nega. Gli scettici dicono che non ha senso parlare di diritti degli animali per lo stesso motivo per cui non ha senso ritenere Jasper moralmente responsabile delle sue azioni (visto che non sa di fare qualcosa di sbagliato, non può essere considerato un agente morale).
Se gli animali non hanno diritti, potresti adottare un altro approccio: ti limiti a valutare il piacere che Jasper prova – e fa provare – con le sue passeggiate, a fronte della sofferenza che provoca ai gatti che intimidisce. Questo calcolo “utilitaristico” non tiene conto dei diritti e dei doveri (proprio come le teorie basate sui diritti tendono a ignorare il rapporto tra dolore e piacere degli utilitaristi). Ma è sensibile alla realtà dei fatti.
I gatti, soprattutto se maschi, tendono a essere aggressivi tra loro, e i versi che producono sembrano terribili. È facile sopravvalutare quanto soffrano veramente. Il pericolo delle risse è che le ferite profonde sono una delle principali vie di trasmissione dei virus della leucemia e dell’immunodeficienza felina. Però tu lasci intendere che il problema non sono le zuffe, ma le minacce: Jasper è il tipo di bullo che soffia ma non morde. Quindi può darsi che, tutto sommato, lasciarlo andare per i fatti suoi sia meglio che chiuderlo in casa.
Ma non dimenticare di tenere conto delle preoccupazioni dei tuoi vicini. Hai ragione a dare molto peso alla felicità di Jasper. Ma gli altri padroni di gatti, curiosamente, tendono ad avere lo stesso atteggiamento verso i loro mici. Forse gli animali non hanno diritti, ma i loro compagni umani sì. Secondo la tradizione dei diritti, quindi, dovresti pensare ai tuoi doveri nei confronti dei tuoi vicini umani.
In breve, non è facile prendere una decisione. Ma in fondo i filosofi si sono sempre lasciati confondere dai gatti. Basta pensare all’uomo che ha dato origine all’utilitarismo, a quel calcolo di piacere e dolore che tanto ha fatto per promuovere il benessere animale, vale a dire il filosofo illuminista Jeremy Bentham. Insegnò a un gatto a mangiare i maccheroni a tavola con lui (e lo premiò con un dottorato), ma non ebbe molta fortuna quando cercò di correggere le cattive maniere di questi animali. Di un altro suo gatto dichiarò:“Aveva un carattere dei più dispotici - un intelletto straordinario; ma restava pur sempre un fastidio universale”.
Sono uno studente e ricercatore universitario presso un centro che si occupa di politiche del lavoro. Io e un altro studente siamo stati assunti come assistenti alle attività amministrative e di supporto alla ricerca; metà del compenso ci è stata versata in anticipo, l’altra metà sarà pagata dopo l’ultimo giorno. Ci siamo impegnati a lavorare trenta ore alla settimana e dobbiamo firmare un foglio all’arrivo e all’uscita.
Ho notato che il mio collega passava molto meno tempo di me in ufficio, ma ho lasciato correre. Poi ho visto che mentiva sull’orario. E non si trattava di qualche generosa approssimazione, come arrivare alle 10.10 e scrivere 10.00 sul foglio firme. Ha dichiarato due intere giornate di lavoro, mentre in realtà non è stato neppure presente.
Se lo segnalo ai superiori, può sembrare che lo faccia per astio. Però mi indispone il fatto che, sebbene lavori più di lui, riceviamo gli stessi riconoscimenti. E vedere che può mentire sull’orario senza conseguenze non mi invoglia certo a passare trenta ore alla settimana in un cubicolo. Cosa dovrei fare?–Lettera firmata
È chiaro che dove lavorate la supervisione è piuttosto blanda, e il tuo compagno scansafatiche ne sta approfittando. Sia la disonestà sia la violazione dei termini contrattuali sono sbagliate. E ci sono buoni motivi per scoraggiare i comportamenti scorretti. Quella che gli psicologi evoluzionisti chiamano “punizione altruistica”, cioè penalizzare qualcuno senza ricavarne un vantaggio diretto, fa parte di un insieme di tratti psicologici che garantiscono il bene del gruppo. Questo spiega perché potremmo sentire l’impulso di infliggere una sanzione, ed è anche vero che, entro certi limiti, spesso è la cosa giusta da fare. Sapere che un comportamento scorretto viene penalizzato potrebbe perfino aiutare il tuo collega nella sua futura carriera.
Hai ragione, però, a temere che gli altri possano giudicare negativamente le tue motivazioni. Potrei farlo anch’io. La tua reazione si concentra su cosa significa per te il comportamento del collega: è il fatto che lui sia scorretto con te a disturbarti, non che sia disonesto con il vostro datore di lavoro. E ti preoccupa il fatto che passandola liscia possa ridurre la tua motivazione, cosa che fa pensare che non consideri rispettare l’impegno che hai preso una motivazione sufficiente. Nessuno di questi sentimenti ti fa particolarmente onore. Ma è un’altra realtà della nostra psicologia: quando le ricompense ci sembrano ingiuste, il nostro impegno per un’impresa qualunque può essere indebolito. Avrei un’opinione migliore di te, tuttavia, se facessi la cosa giusta per il motivo giusto.
Le persone, a differenza dei gatti, sono agenti morali. È per questo che per l’etica non conta solo quello che fai, ma anche perché lo fai.
(Traduzione di Gigi Cavallo)
Il consulente etico è una rubrica del New York Times Magazine su come comportarsi di fronte a un dilemma morale. Qui ci sono tutte le puntate.
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