Di solito calarsi nei panni del presidente russo Vladimir Putin, del cinese Xi Jinping o dello statunitense Donald Trump è un esercizio complicato, al punto che libri interi sono stati scritti sull’argomento.

Ma non stavolta: immaginate di essere Putin, al Cremlino, e di ricevere sul cellulare la notizia delle dimissioni del primo ministro francese Sébastien Lecornu, appena 14 ore dopo l’annuncio della composizione del suo governo. Vi scapperebbe un sorriso? O forse proprio una risata? Personalmente, propendo per il sorriso discreto di compiacimento.

In realtà a Putin non importano affatto le sorti di Lecornu, di cui probabilmente non ha avuto nemmeno il tempo di imparare il nome. Ma volete mettere il piacere di vedere la Francia, leader insieme al Regno Unito della “coalizione dei volenterosi” a sostegno dell’Ucraina, sprofondare nella crisi politica e nell’instabilità cronica?

Ogni giorno al Cremlino arrivano buone notizie. Alla vigilia delle dimissioni di Lecornu, infatti, a Praga è stato eletto Andrej Babiš, un populista che si oppone agli aiuti europei a Kiev, come i governi di Ungheria e Slovacchia.

Xi Jinping evidentemente non ha lo stesso interesse diretto di Putin a vedere la Francia paralizzata dalla crisi politica. Ma ne ricaverà almeno due soddisfazioni, mentre degusta una torta lunare in questa settimana di festa nel suo paese. Prima di tutto Xi sarà felice dell’indebolimento del modello democratico occidentale, cosa che gli permette di vantare davanti al miliardo e mezzo di cinesi la stabilità del regime comunista. Il modello autoritario, infatti, si nutre del fallimento dei suoi avversari ideologici, in un momento in cui la democrazia liberale sembra aver perso il suo potere di attrazione.

La Cina, inoltre, può trovare un incoraggiamento nell’instabilità della seconda economia dell’Unione europea, che ha un impatto a livello continentale, in un contesto in cui i motivi di frizione non mancano, dall’ondata di prodotti cinesi bloccati negli Stati Uniti alle auto elettriche di cui l’Unione vuole bloccare l’ingresso. Meno Europa significa evidentemente più Cina.

A Washington, infine, mettersi nei panni di Donald Trump significa ragionare come un uomo che usa l’esercito nel suo stesso paese, indebolisce i contropoteri e ignora il parlamento. Di sicuro penserà che gli europei sono deboli e patetici.

Oltre le aspettative

Detto questo, il paese dove l’impatto della crisi francese si farà sentire di più potrebbe essere l’Ucraina. Putin conduce una “guerra ibrida” contro l’Europa usando metodi alternativi all’invasione militare, dalla disinformazione alla guerra psicologica, per esempio con le intrusioni dei droni, fino alle operazioni di destabilizzazione, come le teste di maiale depositate di recente davanti alle moschee francesi.

La crisi francese va ben oltre le aspettative del capo del Cremlino, che vuole indebolire l’Europa e il suo sostegno all’Ucraina, e spingere gli europei tra le braccia dei partiti che vedono il mondo come lui, e che sono i preferiti anche di Trump e del suo vicepresidente J.D. Vance.

Naturalmente le cause della crisi francese non sono legate alla Russia, ma i suoi effetti coincidono con i desideri di Mosca, a cominciare dall’indebolimento di un’Europa che cerca di avere un ruolo di primo piano nel mondo e che è messa alla prova dalla guerra russa in Ucraina.

Nell’agitazione della bolla politica francese, il resto del mondo non ha un peso rilevante. Ma forse i leader francesi farebbero meglio a mettersi nei panni di Putin o Trump, anche solo per un istante. Sarebbe molto istruttivo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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