Quando Brian Kiriba è tornato in Kenya, il suo paese natale, dopo aver trascorso gran parte della sua vita all’estero, ha scoperto che i suoi amici masticavano qat, un blando stimolante che gli abitanti dell’Africa orientale usano da secoli. Se n’è messo una manciata in bocca e non gli è piaciuto: le foglie amare gli graffiavano il palato e gli tagliavano la lingua, e lui si chiedeva perché mai qualcuno avrebbe dovuto preferire ai locali di Nairobi una serata in una stanza sporca a farsi di qat. Poi è arrivato l’effetto narcotico. “All’improvviso ho capito”, racconta. “Ma sapevo che doveva esserci un modo migliore per sperimentare quella sensazione”.
Aveva sentito parlare di una ricetta per preparare una bevanda fermentata a base di qat: un miscuglio chiamato jaba, che però era venduto solo in via informale. Convinto che un prodotto di qualità più alta potesse avere un mercato, Kiriba ha cominciato a fare esperimenti nella sua cucina. Prima di riuscire a preparare un estratto decente, ha bruciato due frullatori provando a lavorare le foglie ruvide. Ma la bevanda era così forte che lui e i suoi amici hanno vomitato dopo averla assaggiata. In poco tempo, però, ha trovato una combinazione che funzionava, diluendo l’estratto con acqua e aggiungendo zucchero, succo di frutta e ibisco per il profumo.
Fuori portata
Poco dopo Kiriba ha fondato la Handas Jaba Juice. In questo modo ha contribuito a creare un mercato promettente per questa bevanda stimolante, sempre più popolare tra stranieri ricchi e keniani della classe media, ma fuori dalla portata di gran parte della classe lavoratrice. Kiriba chiede infatti 450 scellini (2,50 euro) per una bottiglia da mezzo litro di succo standard, più o meno quanto il salario medio quotidiano in Kenya. Le offerte più pregiate – estratti spremuti a freddo, varietà frizzanti e concentrati molto forti – possono arrivare a costare il doppio. I suoi prodotti hanno cominciato a spuntare un po’ dappertutto, dai locali alla moda della capitale alle feste in spiaggia al chiaro di luna sulla costa dell’oceano Indiano. “All’inizio ne producevamo cinquanta litri e il grosso dovevamo regalarlo”, racconta Kiriba. “C’era un forte stigma su questa sostanza. Ci è voluto un po’ per convincere la gente ad assaggiare la bevanda”.
Anfetamine naturali
Nonostante la sua diffusione, al momento il succo jaba si colloca in una zona legale grigia in Kenya. La pianta di qat, la Catha edulis, può essere coltivata e venduta legalmente, ma i princìpi psicoattivi che contiene – catinone e catina (entrambe anfetamine naturali) – sono stati inclusi nella lista dei narcotici da una legge del 1994.
“A causa di questa contraddizione, non abbiamo potuto creare un parametro in cui far rientrare anche il succo jaba”, dice Geoffrey Muriira, direttore del
Kenya bureau of standards, l’agenzia che regolamenta i beni industriali. Se si risolvesse la questione della legalità, aggiunge Muriira, sarebbe possibile determinare dei quantitativi sicuri di catinone e catina, che l’agenzia potrebbe certificare e far rispettare. Anche senza questi limiti, però, quasi nessuno viene punito per il consumo, in qualsiasi forma.
Il qat, che chi parla swahili chiama miraa, è coltivato da generazioni sugli altipiani keniani e di solito è masticato dagli uomini mentre, nelle ore pomeridiane, se ne stanno seduti in cerchio a chiacchierare. La foglia aumenta la capacità di essere vigili, la concentrazione e la sensazione di felicità. Negli anni quaranta il qat è stato per un breve periodo messo al bando dall’amministrazione coloniale britannica e oggi è spesso consumato dai conducenti di mototaxi, dai camionisti che percorrono lunghe tratte, dai lavoratori impegnati nei turni di notte e da altre figure in cerca di una sostanza stimolante.
Secondo l’Autorità keniana per l’agricoltura e i prodotti alimentari, nel 2024 i coltivatori keniani hanno prodotto 32mila tonnellate di qat, per un valore di 85 milioni di euro. La sostanza è vietata negli Stati Uniti e in Europa, ma è molto diffusa nel Corno d’Africa e in Yemen. La Somalia assorbe di fatto tutto il qat keniano destinato all’esportazione, ma ora, grazie a un recente accordo commerciale, anche Gibuti ha aperto un canale per importarlo. In ogni caso l’80 per cento del qat è consumato nel paese e quasi sempre da crudo, nonostante i numerosi tentativi di incorporarlo in gomme da masticare o sacchetti di tè.
Il jaba è di gran lunga la più promettente tra le nuove modalità di consumo, anche se è molto più costoso rispetto alla versione da masticare. Bamba, un ristorante di Nairobi famoso per la musica dal vivo, produce ogni giorno un suo succo, che è diventato un’alternativa alla moda di bevande energetiche d’importazione come la Red Bull. I barman lo mescolano con il mezcal per creare il popolare cocktail Smoke & miraa. Nelle serate affollate il locale serve più di cento bicchierini d’infuso di jaba allo zenzero o al limone, a trecento scellini (quasi 2 euro) l’uno. “Volevamo favorire l’uso di ingredienti locali e sostenere l’economia keniana”, spiega la proprietaria Rubi Taha. “Il succo jaba va inquadrato in questo tentativo”.
Miriadi di marchi
Nonostante l’incertezza legale, le aziende che producono jaba non si fermano e continuano a incassare, in attesa che la legge venga aggiornata. Miriadi di nuovi marchi sono entrati nel mercato, con confezioni agili, un marketing professionale e una presenza sui social media in cui i prodotti sono legati a immagini di professionisti felici che partecipano a feste o concerti nei grandi centri urbani.
Alla Handas le foglie fresche spedite ogni giorno dagli altipiani sono scaricate nei frullatori industriali (che hanno sostituito i primi attrezzi da banco usati da Kiriba), da cui esce una polpa verde acceso.
Dopo averla pressata a mano, si estrae il concentrato, che sarà poi diluito, insaporito e addolcito. La produzione è di circa mille litri al giorno. Kiriba è un po’ preoccupato del limbo legale in cui opera la sua azienda, ma spera che un maggior interesse per il succo jaba possa spingere il governo ad attivarsi per rendere legale il prodotto. “Tutti lo conoscono, tutti lo consumano”, dice. “È solo una questione di tempo. Non puoi lottare contro il mercato”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati