Benjamin Netanyahu lo ha detto chiaramente: ci saranno rappresaglie. Il primo ministro israeliano prenderà provvedimenti mirati contro i paesi che il 22 settembre hanno riconosciuto lo stato di Palestina, tra cui la Francia e il Regno Unito. E ci saranno anche misure politiche destinate a rendere ancora più irrealistica l’ipotesi di uno stato palestinese, a cui il governo di Tel Aviv si oppone fermamente.
La più grave dovrebbe essere l’annessione totale o parziale della Cisgiordania. Sarebbe un cambiamento radicale della situazione politica, perché il territorio, occupato fin dalla guerra dei sei giorni del 1967, sarebbe incorporato nello stato di Israele, chiudendo decisamente la porta alla nascita di uno stato palestinese.
Ma il progetto non è così facile, per questo il governo israeliano, che da anni vorrebbe realizzarlo, ha sempre rinunciato a fare un passo decisivo. Ancora oggi, nonostante la drammatizzazione dell’argomento e la pressione dell’estrema destra all’interno della coalizione al potere, Netanyahu continua a esitare.
Il primo ministro israeliano ha spiegato che annuncerà la sua decisione dopo l’incontro con Donald Trump in programma venerdì a Washington. Di fatto aspetta un via libera (o un veto) del presidente degli Stati Uniti. Israele non farà nulla senza la “copertura” americana.
Il motivo è noto: i paesi arabi del golfo Persico, a cominciare dagli Emirati Arabi Uniti che hanno riconosciuto Israele nel quadro degli Accordi di Abramo, hanno fatto presente che l’annessione della Cisgiordania è per loro una “linea rossa” invalicabile. E lo hanno ripetuto agli statunitensi dopo il raid israeliano per uccidere i leader di Hamas in Qatar, che ha scosso la regione.
In settimana Trump incontrerà i rappresentanti dei paesi arabi e della Turchia che partecipano all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Così potrà capire se questi paesi (soprattutto quelli del Golfo, con cui mantiene rapporti economici importanti) sono seriamente contrari all’annessione della Cisgiordania.
Sarà un test di equilibrio tra il pragmatismo, che spinge Trump a non esagerare, e l’ideologia, che gli fa sostenere l’azzardo di Netanyahu.
Per chi pensa che il diritto internazionale abbia ancora un senso (e oggi la questione è aperta), l’annessione della Cisgiordania sarebbe una violazione evidente. È un territorio occupato e la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza ne chiede la liberazione. Ma ormai da mezzo secolo Israele ignora quella risoluzione e continua a colonizzarlo. L’annessione sarebbe solo un passo in più.
Le conseguenze sarebbero due. Prima di tutto Israele sarebbe esposto a sanzioni più gravi di quelle minacciate oggi, soprattutto in Europa. E poi, paradossalmente, si ritroverebbe con tre milioni di palestinesi all’interno dei suoi confini e non più in un territorio occupato. Quale status avrebbero queste persone? Lo spettro dell’apartheid non è lontano.
La questione dell’annessione è importante, ma non deve nascondere che di fatto la nascita di uno stato palestinese è già impedita e lo sarà ancora di più dalla colonizzazione annunciata con il piano E1, che taglia la Cisgiordania in due. Ora è questa la sfida per i sostenitori della soluzione dei due stati: passare dalla speranza a una realtà brutale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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