Nei suoi circa vent’anni di attività politica, Bezalel Smotrich ha dimostrato di essere concentrato sugli obiettivi ed estremamente capace di raggiungerli. Molte sue posizioni sono diventate politiche di governo da quando si opponeva al ritiro da Gaza nel 2005 per poi guidare l’organizzazione di destra Regavim, e arrivare oggi a capo del ministero responsabile delle colonie (è anche stato il primo a dire apertamente che la liberazione degli ostaggi non è la priorità). Per questo il suo annuncio del 3 settembre fatto in conferenza stampa insieme a figure di spicco dell’apparato delle colonie va preso sul serio: l’annessione dell’82 per cento della Cisgiordania.
Non è una trovata pubblicitaria o legata al timore dei sondaggi: è un programma ideologico coerente. Smotrich ha riferito che insieme all’amministrazione degli insediamenti, un ente creato all’interno del ministero della difesa su sua richiesta, avrebbe trascorso gli ultimi mesi a preparare le mappe della sovranità israeliana.
L’annessione riguarderà il territorio, non le persone. Secondo la mappa, saranno concesse ai palestinesi sei enclave colorate di giallo, disconnesse tra loro: le città di Hebron, Ramallah, Gerico, Nablus, Tulkarem e Jenin. In queste aree i palestinesi potranno autoamministrarsi. In tal modo, ha detto Smotrich impassibile, sarà mantenuta una “chiara maggioranza ebraica nello stato ebraico e democratico di Israele”.
Fuori della mappa
Senza giri di parole come suo solito, Smotrich ha spiegato: “Non abbiamo alcun desiderio di esercitare la sovranità su una popolazione che vuole la nostra distruzione. I nemici devono essere combattuti, non gli va concessa una vita comoda. Dunque, il principio fondamentale per esercitare la sovranità è: il massimo della terra con il minimo di popolazione”. Tuttavia Smotrich non ha rivelato quale destino immagina per i palestinesi che vivranno al di fuori delle enclave colorate di giallo sulla mappa. Solo in risposta a una domanda della giornalista di Haaretz Matan Golan, il ministro ha affermato che nei territori da annettere vivono circa 80mila palestinesi, e che il loro status sarà uguale a quello dei residenti di Gerusalemme Est.
Ma che ne sarà delle centinaia di migliaia di persone che vivono a Betlemme, Salfit, Qalqilya, Tubas, Abu Dis, nelle cittadine e nei villaggi intorno, nelle comunità di pastori? Queste aree sono state lasciate fuori della mappa, come enclavi che non saranno annesse, solo per praticità grafica? Nessuno dovrebbe supporre che questa omissione sia stata accidentale. Prendere in giro Smotrich – perché considerato un ministro delle finanze fallito, non parla inglese e va male nei sondaggi – non serve a cogliere la verità più generale: ha portato avanti con successo i piani del movimento dei coloni religiosi nazionalisti che rappresenta così fedelmente.
Tre messaggi
Già alla fine del 2016, in un’intervista con Haaretz, Smotrich aveva presentato il suo obiettivo di soffocare le speranze dei palestinesi per uno stato tra il fiume e il mare. Aveva descritto tre opzioni per loro: l’emigrazione volontaria di massa (la sua preferita); la permanenza sul territorio come popolazione asservita senza diritti né aspirazioni nazionali; una guerra su vasta scala contro chi si oppone. “Quando il profeta biblico Giosuè entrò in questa terra mandò tre messaggi ai suoi abitanti: quelli che vogliono accettare il nostro dominio lo accetteranno; quelli che vogliono andarsene se ne andranno; quelli che vogliono combattere combatteranno. La base della sua strategia era: siamo qui, siamo venuti, questa terra è nostra. Anche ora si apriranno tre porte, non ce n’è una quarta. Io aiuterò quelli che vogliono andarsene, e ce ne saranno. Quando non avranno alcuna speranza o prospettiva, se ne andranno. Come hanno fatto nel 1948”.
Nel settembre 2017 aveva precisato la sua visione in un articolo per il giornale Hashiloach, chiamandola “piano decisivo”. Dalle sue dichiarazioni sullo status temporaneo di cittadinanza dei palestinesi di Israele – “Gli arabi sono cittadini di Israele, almeno per il momento, e hanno rappresentanti alla knesset, almeno per il momento” – del 2021, alla necessità di “cancellare” il villaggio di Hawara nel 2023, possiamo ragionevolmente dedurre che abbia in serbo piani di ampia portata per i palestinesi che non faranno parte dei “fortunati” 80mila che prevede di annettere. Forse tra i suoi progetti rientrano le espulsioni e le leggi per la segregazione – sul modello dell’apartheid sudafricano – che concentrerebbero e comprimerebbero circa tre milioni di palestinesi e i loro discendenti in quei mille chilometri quadrati di territori scollegati tra loro?
Smotrich non ha dei superpoteri: è riuscito nel suo intento perché il settore che rappresenta è estremamente organizzato e concentrato sui propri obiettivi. Ma anche perché molti ebrei israeliani hanno scoperto quanto è o potrebbe essere vantaggioso per loro continuare a occupare la terra ed espropriare i beni dei palestinesi: accesso ad alloggi economici e di alta qualità (rispetto alle aree all’interno d’Israele), sussidi del governo, mobilità socioeconomica, e opportunità di carriera nei settori della difesa e dell’alta tecnologia, che dipendono dal mantenere il controllo su un altro popolo.
Smotrich non ha inventato niente. Da tempo l’obiettivo di impedire la creazione di uno stato palestinese nei territori occupati nel 1967 è condiviso anche nel “campo di opposizione”: Yitzhak Rabin e Shimon Peres erano contrari a uno stato palestinese, così come Ehud Barak. La separazione della popolazione di Gaza da quella della Cisgiordania – una tappa essenziale nel sabotaggio di uno stato palestinese – è cominciata negli anni novanta. Nemmeno il principio guida “il massimo della terra, con il minimo di arabi” è una novità. A volte per cenni e strizzatine d’occhio, a volte in modo esplicito, questa idea ha guidato il movimento laburista sionista, precedente e successivo al 1948, anche attraverso la formulazione di vari piani di “ingegneria demografica” per Gaza e per la Cisgiordania.
Gli accordi di Oslo fin dall’inizio furono strutturati per lasciare vaste aree della Cisgiordania in mani israeliane con il minimo di popolazione palestinese. Dalla metà degli anni novanta il settore dei coloni – e le sue file sempre più consistenti all’interno dell’apparato israeliano – è impegnato a impedire la restituzione di circa il 61 per cento della Cisgiordania all’amministrazione palestinese. E lo fa usando la proliferazione degli avamposti; l’intensificazione delle violenze senza alcuna deterrenza o punizione; un’enorme pressione politica sull’amministrazione civile per bloccare tutte le costruzioni palestinesi; la promozione costante di leggi sull’annessione.
Nella Striscia di Gaza Israele da quasi due anni realizza la terza opzione prospettata da Smotrich ai palestinesi: una campagna di distruzione e annientamento per ottenere la “vittoria decisiva”, come ha detto il capo di stato maggiore dell’esercito Eyal Zamir. Nel gennaio 2024 l’amministrazione statunitense aveva preso le distanze dalla proposta di Smotrich per “l’espulsione volontaria, ovvero l’emigrazione” da Gaza. Oggi però Smotrich ha un alleato ideologico alla Casa Bianca, una persona per la quale sembra del tutto normale il trasferimento di popolazioni non bianche – quasi fossero mattoncini Lego –al servizio di una visione megacapitalistica guidata da interessi immobiliari.
Anche in Cisgiordania le attuali politiche riflettono lo spirito della terza opzione invocata dal profeta Giosuè e da Smotrich, anche se con mezzi meno letali. A Jenin e Tulkarem l’esercito ha dimostrato che il modello si basa su evacuazioni, sfollamento e distruzioni. In tutto il territorio Israele ha lanciato una guerra economica per impoverire la popolazione: negando ai palestinesi i permessi di lavoro in Israele; espellendo pastori e contadini dalle loro terre; trattenendo i fondi dell’Autorità nazionale palestinese così da far sopravvivere il settore pubblico con salari dimezzati; sequestrando beni personali; installando posti di blocco all’uscita di città e villaggi, di fatto separandoli gli uni dagli altri. Di conseguenza gli spostamenti per lavoro, istruzione e commercio stanno diventando proibitivi e sempre più insostenibili.
In fatto di politiche antipalestinesi, Smotrich non è una figura secondaria. È parte della tendenza dominante. Per questo il suo piano di annessione non è un delirio stravagante. ◆ fdl
◆Dopo giorni di bombardamenti incessanti, il 9 settembre 2025 l’esercito israeliano ha ordinato a tutti gli abitanti della città di Gaza, tramite volantini lanciati dal cielo o messaggi sui social media, di andarsene subito in vista dell’inasprimento della sua operazione terrestre. Un nuovo flusso di persone percorre la strada costiera su veicoli di fortuna, animali o a piedi verso il sud della Striscia, in particolare la zona di Al Mawasi, definita umanitaria dai militari israeliani che l’hanno attaccata più volte. Le organizzazioni umanitarie hanno avvertito delle terribili conseguenze che avrà un attacco sulla città in preda alla carestia. Il 9 settembre altre sei persone sono morte di fame, portando il numero totale delle vittime a 399 dall’inizio della guerra.
◆ Nella notte tra l’8 e il 9 settembre la Global sumud flotilla, diretta a Gaza con un carico di aiuti umanitari, ha affermato che una delle sue imbarcazioni è stata colpita da un drone al largo di Tunisi, mentre le autorità tunisine hanno smentito. Le sei persone a bordo sono rimaste incolumi. Un incidente simile è stato denunciato anche la notte successiva. Una parte della Global sumud flotilla era arrivata il 7 settembre a Tunisi, una tappa nella rotta verso la Striscia di Gaza, dove è diretta con l’obiettivo di rompere il blocco d’Israele. Diverse imbarcazioni sono in mare. Si può seguire il loro viaggio sul sito dell’iniziativa: globalsumudflotilla.org
Afp, Al Jazeera
Amira Hass è una giornalista israeliana che vive a Ramallah, in Cisgiordania. Sarà al festival di Internazionale a Ferrara,in programma dal 3 al 5 ottobre.
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati