Il 30 giugno ad Algeri un tribunale ha condannato il giornalista francese Christophe Gleizes a sette anni di carcere, mentre il giorno successivo è stata confermata in appello la condanna a cinque anni per lo scrittore francoalgerino Boualem Sansal. Nella capitale algerina sono tempi duri per chi ha un passaporto francese. Di questi tempi, infatti, la cittadinanza francese sembra essere un’aggravante.

Non lo ripeteremo mai abbastanza: i giornalisti e gli scrittori non dovrebbero essere incarcerati con accuse che riguardano la libertà di stampa o di espressione. Nessuno è al di sopra della legge, certo, ma nei casi di Gleizes e Sansal non c’è nulla che giustifichi la loro detenzione. Ci troviamo piuttosto nel regno dell’arbitrio. Gleizes, giornalista sportivo, indagava su una squadra di calcio in Cabilia quando è stato accusato di “apologia del terrorismo”. Sansal, invece, è stato condannato per “tradimento” per alcune dichiarazioni rilasciate a una rivista francese.

I paesi in cui i giornalisti e gli scrittori sono imprigionati sono tutti, senza eccezioni, regimi autoritari o totalitari dove la legge è uno strumento nelle mani del potere politico, che ne abusa a proprio piacimento. Da un anno l’Algeria sta facendo pagare alla Francia il suo appoggio al piano marocchino di autonomia del Sahara Occidentale, ed è in questo contesto che bisogna leggere le due vicende, che solo all’apparenza sono giudiziarie.

Parigi aspetta – o piuttosto spera – una grazia presidenziale per Sansal, che potrebbe arrivare il 4 luglio in occasione della festa per l’indipendenza dell’Algeria. È quello che ha lasciato intendere chiaramente il 1 luglio il ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot in un intervento all’assemblea nazionale, precisando che l’Algeria è davanti a una scelta “di responsabilità, umanità e rispetto”.

Lo stesso giorno il ministro dell’interno francese Bruno Retailleau, sostenitore della linea dura nei confronti di Algeri, ha espresso una posizione simile in un intervento radiofonico, registrato prima della sentenza d’appello contro lo scrittore. Retailleau ha precisato di voler pesare le parole per non “compromettere alcuna possibilità che Sansal sia liberato”.

La grazia presidenziale ha il vantaggio di essere una decisione sovrana del presidente Abdelmadjid Tebboune, che potrebbe giustificarla con lo stato di salute dello scrittore, ottantenne e malato. Tuttavia, questa decisione potrà arrivare solo se il governo algerino desidera allentare le tensioni con la Francia, e al momento nessuno può esserne sicuro.

Cosa succederebbe se la grazia non fosse concessa? Per la Francia sarebbe un clamoroso schiaffo, oltre che la dimostrazione che l’Algeria non ha ancora finito di regolare i conti con l’ex potenza coloniale. A Parigi i sostenitori della linea dura ne sarebbero contenti.

Nella sostanza le relazioni francoalgerine sono fatte tanto di diplomazia quanto di terapia di coppia. Il 10 per cento della popolazione francese, infatti, ha un legame stretto con la storia algerina, fatto di ricordi conflittuali.

A Parigi qualcuno sostiene che una normalizzazione dei rapporti con Algeri sarà impossibile fino a quando il paese continuerà a essere guidato da anziani che hanno vissuto la guerra d’indipendenza, in uno stato in cui il 70 per cento della popolazione ha meno di trent’anni. Di contro, una soluzione non arriverà fino a quando in Francia la politica sarà schiava delle polemiche e delle strumentalizzazioni sul tema dell’immigrazione.

Il paradosso è che Emmanuel Macron è stato il capo di stato francese più determinato a normalizzare le relazioni con l’Algeria. In questo senso i suoi buoni rapporti con Tebboune fanno ben sperare. La risposta arriverà il 4 luglio: in gioco c’è il destino di Sansal, ma anche quello delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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