Un tempo i giovani appena diplomati o laureati sognavano di creare un social network che potesse avvicinare tra loro le persone. Quel sogno, oggi, è solo un ricordo lontano. Nel 2024 le piattaforme online sono infatti accusate di ogni genere di nefandezza: diffondono notizie false, sono usate dai russi e dai cinesi per destabilizzare le democrazie e attirano contatti per poi vendere i dati personali ad aziende poco affidabili. Il successo dei documentari e degli studi sulle gravi conseguenze sociali dell’attività online è una dimostrazione di questa convinzione.
Una delle posizioni più critiche accusa le piattaforme digitali e i loro algoritmi di amplificare la polarizzazione politica e l’ostilità. Qualcuno ha addirittura sostenuto che nelle discussioni online “chiunque può diventare un troll”.
Tuttavia, gli studi più recenti nel campo delle scienze sociali che usano metodi quantitativi e della psicologia introducono una serie di sfumature in questo approccio pessimistico.
Per cominciare, diverse ricerche suggeriscono che la tendenza a scontrarsi online su temi politici sia dovuta in parte a fattori psicologici e socioeconomici indipendenti dalle piattaforme digitali.
Nel nostro studio abbiamo chiesto a più di 15mila persone di raccontarci le loro esperienze sui dibattiti avuti online a proposito di temi sociali. Le interviste sono state effettuate a gruppi rappresentativi in trenta paesi, sparsi sui sei continenti.
Il primo risultato emerso è che i paesi in cui le persone manifestano più spesso ostilità sui social network (insulti, minacce, molestie) sono quelli meno democratici e in cui si registra la maggiore disuguaglianza economica, come la Turchia o il Brasile. Questo fenomeno sembra nascere dalle frustrazioni prodotte da ambienti sociali e regimi politici più repressivi.
Il nostro studio ha inoltre rilevato che le persone più inclini all’ostilità online sono anche quelle che tendono ad assumersi più rischi per affermare il proprio status. Questo tratto della personalità corrisponde a un orientamento verso il predominio, ovvero a una propensione a sottomettere gli altri al proprio volere, per esempio attraverso l’intimidazione. Secondo i dati che abbiamo raccolto, le persone con questo tipo di personalità sono più numerose nei paesi non democratici dove si registra una forte disuguaglianza. Allo stesso modo, diverse analisi indipendenti mostrano che la tendenza verso il predominio è un elemento chiave nella psicologia dei conflitti politici ed è all’origine delle diffusione di fake news che prendono in giro o insultano l’avversario politico, oltre che di una maggiore propensione allo scontro politico nella vita reale.
Replicando uno studio precedente, abbiamo confermato che gli individui di questo tipo ammettono più degli altri di comportarsi in modo ostile online, ma presentano anche maggiori probabilità di interagire in modo aggressivo nelle discussioni in presenza.
In sintesi, l’ostilità politica online sembra essere in gran parte il prodotto dell’interazione fra tratti della personalità specifici e contesti sociali che reprimono le aspirazioni individuali. Questo significa che è la frustrazione associata alla disuguaglianza sociale a rendere le persone più aggressive, innescando la tendenza a considerare il mondo in termini di “noi contro di loro”. In questo senso, se davvero vogliamo creare un internet (e una società) più in armonia, dovremo risolvere il problema della disuguaglianza economica e rendere più democratiche le nostre istituzioni politiche.
Anche se il nostro studio inquadra l’ostilità politica in un contesto più ampio, non nega che le piattaforme abbiano un ruolo nell’alimentare la polarizzazione politica e l’aggressività online.
I social network permettono di diffondere all’istante e fedelmente qualsiasi contenuto a milioni di persone (diversamente dalla comunicazione verbale, dov’è inevitabile un certo grado di distorsione), dunque consentono di disinformare o esasperare milioni di individui senza grande sforzo. Questa dinamica resta valida a prescindere dal fatto che la disinformazione sia diffusa consapevolmente o sia solo un effetto dei preconcetti politici di un gruppo specifico.
Se alle interazioni sui social network spesso manca un certo grado di civiltà è anche perché offrono la possibilità di dialogare con persone estranee e anonime. Questa esperienza, esclusiva dell’epoca di internet, riduce il senso di responsabilità ed empatia nei confronti dell’interlocutore, che non consideriamo più come un individuo ma come un esponente intercambiabile di una tribù politica.
Le analisi recenti ci ricordano che i social network funzionano non tanto come uno specchio ma come un prisma deformante della diversità delle opinioni all’interno della società.
I post sulla politica carichi di rabbia e offese sono generalmente scritti da persone più determinate a esprimere la propria posizione, più radicali rispetto al cittadino medio, a prescindere dall’obiettivo delle loro azioni (manifestare il proprio impegno, esprimere rabbia o convincere gli altri a sposare una causa politica). Anche quando rappresentano una piccola parte dei post sulle piattaforme, gli interventi moralistici e ostili tendono a essere promossi dagli algoritmi, che sono creati per diffondere contenuti capaci di attirare l’attenzione e innescare una risposta. I messaggi politici controversi corrispondono perfettamente a questa definizione.
Di contro la maggioranza degli utenti, che di solito mantiene posizioni meno dogmatiche e più moderate, è anche più riluttante all’idea di farsi coinvolgere nelle discussioni politiche, che raramente premiano il ragionamento e la buona fede, e spesso degenerano in esplosioni di rabbia.
Questi bias di percezione e selezione si combinano producendo l’impressione fuorviante che le posizioni radicali e ostili siano più diffuse e moralmente tollerate di quanto non lo siano in realtà.
Detto questo, è vero che l’utilizzo dei social network sembra contribuire ad aumentare lo scontro politico e la polarizzazione attraverso almeno un meccanismo: l’esposizione a versioni caricaturali delle idee politiche degli avversari.
Diversamente da quanto in genere si crede, la maggior parte delle nostre interazioni online non ha la forma di una camera dell’eco, caratterizzata da una visione politica omogenea.
Anche se alcune piattaforme sono effettivamente costruite in questo modo (4Chan e alcuni sub-Reddit), i social network più utilizzati come Facebook (quasi tre miliardi di utenti) e X (550 milioni di utenti) di solito presentano una certa varietà di opinioni e punti di vista. Questa diversità è spesso maggiore di quella che ritroviamo nelle discussioni politiche con i nostri amici. Quanti di noi sono ancora in contatto con il vecchio compagno di scuola che ora sostiene l’estrema destra? Incontrarlo per strada è difficile, mentre è molto più probabile imbattersi nelle sue invettive online.
Una maggiore esposizione alle idee degli altri è teoricamente auspicabile, perché dovrebbe aiutarci a riconoscere i punti ciechi delle nostre convinzioni politiche, individuare i tratti che accomunano noi e i nostri avversari e renderci più umili e rispettosi. Sfortunatamente, però, il modo in cui la maggior parte delle persone esprime le proprie convinzioni politiche – sia sui social network sia davanti a un distributore di caffè – non è molto profondo e delicato, ma tende a sminuire aggressivamente l’avversario politico. Più che persuadere l’altro, l’obiettivo di molti post online sembra essere quello di manifestare la propria devozione a un partito o a una causa, e rafforzare i legami con chi condivide gli stessi punti di vista.
Basandosi su alcune ricerche condotte su X e su interviste ad attivisti democratici e repubblicani, il sociologo Chris Bail ha lanciato l’allarme nel suo libro The prism of social networks, in cui spiega che l’esposizione ripetuta a teorie poco convincenti prodotte dai nostri avversari politici può rafforzare le posizioni identitarie preesistenti di entrambi, invece di far avvicinare i due gruppi in termini di visione del mondo e sentimenti.
Tuttavia, il rapporto tra l’utilizzo dei social network e la polarizzazione politica sembra dipendere molto dalla durata dell’esposizione e non si manifesta in tutti i contesti analizzati. Studi recenti che esplorano gli effetti della cancellazione da Facebook e Instagram non hanno riscontrato un chiaro effetto polarizzante dei social network sull’opinione politica degli utenti.
Non dobbiamo dimenticare che le teorie sulle minacce nei confronti della società godono di un significativo vantaggio nel mercato delle idee e delle conversazioni, in quanto estremamente attraenti per la nostra mente. Dunque faremmo meglio ad affrontare il tema del rapporto tra i social network e l’ostilità e la polarizzazione politica evitando le trappole simmetriche dell’ottimismo e del panico collettivo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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