Un articolo del quotidiano economico Financial Times di qualche settimana fa affermava che l’economia spagnola è diventata la locomotiva europea, mentre le altre stanno andando piuttosto male. Dal 2023 infatti il prodotto interno lordo spagnolo è cresciuto a un ritmo del 3 per cento all’anno, rispetto all’1 per cento della zona euro.

Per il 2025 l’Ocse prevede una crescita del pil spagnolo del 2,4 per cento e dell’1,9 per cento nel 2026. Questo successo è dovuto a un uso efficace dei fondi ricevuti dall’Unione europea, alla diversificazione del modello produttivo che ha attirato investimenti stranieri e alle recenti riforme del mercato del lavoro. Ma il principale fattore della crescita è stato l’immigrazione, spiega il Financial Times. Perché la Spagna rispetto agli altri paesi europei e agli Stati Uniti ha deciso a maggio del 2025 di regolarizzare quasi un milione di immigrati in tre anni.

Per Madrid è una delle chiavi per garantire al paese un benessere duraturo, in un contesto di declino demografico. La riforma prevede di regolarizzare 300mila persone all’anno nei prossimi tre anni. L’obiettivo è sostenere la crescita economica e il sistema pensionistico del paese.

I migranti rappresentano il 13,5 per cento della forza lavoro spagnola e il 40 per cento dei nuovi posti di lavoro nel 2024, in particolare nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e della sanità. La nuova politica di Madrid vuole porre rimedio alla carenza di manodopera e all’invecchiamento della popolazione. “Un aspetto notevole della recente performance della Spagna è stato il ruolo dell’immigrazione”, hanno osservato gli economisti di JPMorgan in un rapporto. “Il 2022 ha visto la migrazione netta più alta degli ultimi dieci anni, con quasi tre quarti di milione di individui”.

Il risultato è stato una popolazione in età lavorativa quasi raddoppiata rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale. Dei 468mila posti di lavoro creati in Spagna nel 2024, circa 409mila sono stati occupati da migranti o persone con doppia nazionalità, molti dei quali provenienti dall’America Latina, ma anche dal resto d’Europa e dall’Africa.

“Nel complesso, l’analisi della Banca di Spagna suggerisce che l’immigrazione ha contribuito per oltre il 20 per cento alla crescita del pil pro capite di quasi il 3 per cento nel periodo 2022-2024”, ha osservato JPMorgan. Questa è una realtà che riguarda l’intera Unione europea, dove la popolazione in età lavorativa diminuisce di un milione di persone all’anno. Si stima che nel frattempo in Europa vivano tra i 2,6 e i 3,2 milioni di migranti irregolari. Ma molti governi europei come il Regno Unito, la Danimarca e l’Italia hanno adottato un approccio ostile e di chiusura verso l’immigrazione.

Secondo alcune stime, precedenti programmi di regolarizzazione in Spagna hanno fatto incassare allo stato più di quattromila euro di contributi previdenziali per immigrato. Anche la Banca centrale europea ha affermato in un rapporto pubblicato lo scorso maggio che l’Unione sta attraversando una crisi di manodopera. In Europa il 50 per cento dei posti di lavoro negli ultimi anni è stato creato grazie al contributo dei migranti.

Si tratta di un motore essenziale del mercato del lavoro e della crescita economica, in un momento in cui la popolazione è in calo. Nonostante i dati molto buoni dal punto di vista macroeconomico, tuttavia, la Spagna fatica ancora ad aumentare i salari, a ridurre il tasso di disoccupazione e a migliorare l’accesso alla casa, anche se ha usato i fondi stanziati dopo la pandemia per ridurre la povertà e per migliorare il welfare.

“Il tasso di disoccupazione è ancora il più alto dell’Unione europea, soprattutto quello giovanile (il 24 per cento nel 2025, era superiore al 50 per cento nel 2013). I salari reali sono cresciuti negli ultimi trent’anni meno del 3 per cento, anche per effetto della bassa produttività. Il gap salariale tra donne e uomini si è ridotto, ma le donne guadagnano ancora il 20 per cento in meno circa dei loro colleghi maschi. Il problema principale, che diventa una componente fondamentale della povertà, è quello dell’accesso a una casa, con i prezzi di acquisto e di affitto alle stelle”, riporta un’analisi dell’Ispi.

Questo testo è tratto dalla newsletter Frontiere.

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