I primi ad arrivare a piazza dei Cinquecento, a Roma, sono stati le ragazze e i ragazzi delle scuole superiori, quelli del liceo Galileo Galilei e del Virgilio. “Blocchiamo tutto come ci hanno chiesto i portuali genovesi”, grida uno dei rappresentanti d’istituto del liceo Virgilio al megafono, mentre gli altri attivano delle sirene e sventolano bandiere palestinesi. “Palestina libera”, “Roma lo sa da che parte stare”, sono alcuni degli slogan della manifestazione, partita da diversi punti della città e cominciata intorno alle 11 del 22 settembre, in concomitanza con lo sciopero generale convocato dai sindacati di base in circa ottanta città italiane.
Mentre a New York, negli Stati Uniti, era in corso l’assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui una decina di governi hanno riconosciuto lo stato palestinese, molti italiani sono scesi in piazza nelle loro città anche contro il loro governo. Lo stato palestinese, infatti, non è riconosciuto dall’Italia. Anche per questo l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è stato preso di mira dai manifestanti, che hanno gridato “Meloni, dimettiti” e hanno mostrato foto e cartelli della presidente del consiglio, del vicepremier Matteo Salvini e del ministro degli esteri Antonio Tajani, accusati di complicità con il governo israeliano.
Il sindacalista Guido Lutrario dell’Unione sindacale di base (Usb), una delle sigle che ha convocato il corteo, parlando al microfono del camion che apriva la manifestazione, ha dichiarato: “Questa non è una protesta come le altre, abbiamo detto che bloccheremo tutto, quindi andremo avanti per tutta la giornata”.
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Alcuni dicevano che i manifestanti avrebbero occupato i binari della stazione Termini, com’è successo a Milano e a Napoli. Ma dalle prime ore della mattina i cancelli d’ingresso sono stati chiusi e la polizia in tenuta antisommossa è stata schierata agli ingressi. Nonostante questo, la circolazione dei treni è stata rallentata, con ritardi di diverse ore. Lutrario ha aggiunto che il corteo si sarebbe mosso intorno all’ora di pranzo per bloccare alcune delle arterie della città, tra cui la tangenziale est e la via Tiburtina.
Al microfono del camion dell’Usb si sono alternati tutti i rappresentanti delle diverse categorie che hanno aderito allo sciopero: dagli studenti ai movimenti di lotta per la casa, dai lavoratori del pubblico impiego a quelli della scuola, dalla Global sumud flottilla alle comunità di palestinesi, tra cui un giornalista di Gaza, arrivato in Italia per essere curato dopo essere stato ferito alle gambe.
Anche una rappresentanza dei vigili del fuoco ha preso parola. In divisa e impugnando una kefiah rossa, Paolo Cergnar, vigile del fuoco dell’Usb, ha gridato: “L’abbiamo detto tante volte, sul petto delle nostre uniformi portiamo l’emblema dell’Unicef, siamo ambasciatori di buona volontà e dobbiamo garantire a tutti i bambini la sicurezza e la pace, perché il soccorso noi ce lo abbiamo scritto nel sangue”.
I manifestanti chiedono al governo italiano d’interrompere le relazioni diplomatiche e commerciali con Israele, di riconoscere lo stato palestinese come hanno fatto già altri paesi, di approvare delle sanzioni economiche contro Tel Aviv per condannare le violazioni sistematiche del diritto internazionale umanitario nella Striscia di Gaza e l’uccisione di più di sessantamila persone (di cui più dell’80 per cento sono civili, secondo le Nazioni Unite).
Le parole più dure sono state espresse dalle studenti. Una ragazza ha preso il microfono e ha detto: “Quel mondo che continuano a raccontarci ha fallito. All’Unione europea, ai paesi della Nato, al governo Meloni, all’opposizione noi diciamo che la vera risposta al genocidio in corso a Gaza è questa piazza”. Le ragazze, soprattutto quelle di origine straniera, hanno avuto un ruolo importante nelle manifestazioni per Gaza del 22 settembre.
Per esempio il corteo di Roma è stato guidato da Maya Issa, italiana di origine palestinese, studente di scienze politiche.
Issa ha chiarito che il cuore della manifestazione e dello sciopero convocato dai sindacati di base era la solidarietà con i palestinesi di Gaza, rifiutando un approccio meramente umanitario: “Sento inneggiare alla Flottilla, vorrei sentire inneggiare alla Palestina, non vogliamo eroi, vogliamo un fronte popolare. Non vogliamo carità, vogliamo solidarietà. Questa non è la storia dei salvatori bianchi, questa è la storia della resistenza palestinese, non vogliamo il vostro pietismo umanitario che anestetizza, vogliamo la politica”.
Verso l’ora di pranzo il corteo composto da centinaia di migliaia di persone (300mila, secondo gli organizzatori) si è mosso lungo via Cavour, piazza di Santa Maria Maggiore, piazza Vittorio, porta Maggiore e si è diretto verso la tangenziale est e la stazione Tiburtina, con l’intenzione di bloccare il traffico cittadino.
Nel primo pomeriggio tanti sono arrivati a San Lorenzo, storico quartiere operaio di Roma, bombardato durante la seconda guerra mondiale e sede dell’università. Dalle finestre dei palazzi si sono affacciate molte persone che applaudivano, sventolando bandiere e sciarpe tradizionali palestinesi. Quando i manifestanti sono arrivati sulla sopraelevata hanno bloccato il traffico.
Ma molti degli automobilisti in fila, invece di arrabbiarsi, sono usciti dalle auto. Alcuni si sono messi a salutare, a sventolare fazzoletti, quelli che sono rimasti in macchina hanno suonato il clacson o hanno applaudito. Subito dopo, quando il corteo si è ricompattato ed è entrato in un tunnel prima della stazione Tiburtina, dal camion dell’Usb è partita della musica da discoteca e i manifestanti hanno cominciato a ballare, dopo sette ore di marcia.
Questo testo è tratto dalla newsletter Frontiere.
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