Hong Kong non ha ancora finito di contare le vittime dell’enorme incendio scoppiato il 26 novembre al Wang Fuk Court, un complesso di case popolari nel distretto di Tai Po. Le fiamme si sono diffuse rapidamente causando almeno 151 morti, 79 feriti e 150 dispersi. Più di duemila persone sono rimaste senza casa. La città è sconvolta, non solo perché si tratta di uno degli incendi più gravi della sua storia. Man mano che avanzano le indagini, infatti, ci si rende conto anche che la tragedia era del tutto evitabile e che gli stessi residenti avevano più volte denunciato che l’azienda appaltatrice dei lavori di ristrutturazione degli immobili, la Prestige Construction and Engineering, non stava rispettando le norme sulla sicurezza.
Lo sgomento e il lutto hanno dominato le prime giornate, insieme al desiderio di mobilitarsi per aiutare le vittime. Ora la rabbia comincia a farsi palpabile. Tuttavia a Hong Kong, dopo che nel 2020 è stata approvata la legge sulla sicurezza nazionale, non è più possibile criticare l’operato del governo senza essere accusati di sovversione e sedizione. La rabbia, quindi, è diventata potenzialmente pericolosa per chi la prova.
Tredici persone sono già state arrestate per il coinvolgimento diretto nell’incendio, tra cui alcuni dirigenti della Prestige Construction e altre persone che hanno concesso i permessi edilizi senza fare controlli rigorosi.
I residenti avevano più volte denunciato che l’azienda appaltatrice dei lavori di ristrutturazione degli immobili non stava rispettando le norme sulla sicurezza
Lo scorso ottobre, per esempio, quando il tifone Ragasa, uno dei più potenti dell’anno, ha colpito Hong Kong, ha distrutto alcune reti di protezione intorno al complesso residenziale di Tai Po. Dopo il tifone, la Prestige aveva sostituito le recinzioni danneggiate, ma solo i primi due piani erano stati coperti con reti antifiamma, mentre per gli altri trenta piani avevano usato protezioni più economiche e infiammabili.
Gli arresti, però, non riguardano solo le persone che potrebbero avere delle responsabilità nell’incendio. Uno studente, Miles Kwok, è stato fermato dalla polizia per aver distribuito dei volantini che chiedevano al governo di garantire assistenza alle vittime e di permettere l’apertura di un’indagine indipendente sulle cause del disastro. Altre due persone, un volontario e un ex consigliere di distretto, sono state arrestate per aver “alimentato odio contro il governo”, ma per il momento non si sa cos’abbiano fatto per meritare simili accuse.
Capro espiatorio
Tra tutti gli accusati quello meno capace di difendersi e che più sembra innocente non è un essere umano, ma una pianta. Subito dopo la tragedia il governo di Hong Kong, seguito a ruota dalla stampa internazionale, ha puntato il dito contro le impalcature di bambù, che nella regione tradizionalmente sono usate al posto di quelle in metallo.
Senza avere alcuna prova, il capo dell’esecutivo di Hong Kong, John Lee, ha annunciato in una conferenza stampa che l’incendio di Tai Po dimostra che è arrivato il momento di mettere da parte il bambù. Cosa che, del resto, era già stata annunciata mesi fa, malgrado le proteste di chi lo considera parte dell’identità di Hong Kong.
Questo materiale non solo rende un buon servizio da secoli, ma è più adatto di altri nell’edilizia. Il bambù infatti non brucia facilmente – ci sono centinaia di video di cittadini di Hong Kong che mostrano quanto sia difficile far prendere fuoco a una canna di bambù – ed è leggero, il che gli consente una certa flessibilità anche durante gli eventi atmosferici più violenti. Se il vento lo fa cadere, il suo peso di solito limita i danni, che sono invece molto più seri se vengono giù delle strutture di metallo.
In caso d’incendio, inoltre, i tubi metallici possono diventare pericolosamente incadescenti, mentre il bambù, che non s’infiamma, in certe occasioni può solo carbonizzarsi parzialmente. Quello usato nell’edilizia, però, per precauzione è trattato con sostanze antifiamma.
Il bambù è un capro espiatorio, fanno notare in molti, usato per distrarre dal vero problema, cioè la mancata trasparenza nei contratti di edilizia pubblica. La legge sulla sicurezza nazionale, inoltre, ha costretto molti partiti d’opposizione a sciogliersi, ha ridotto al minimo gli spazi per i mezzi d’informazione indipendenti e ha causato la chiusura di tante organizzazioni della società civile. La supervisione di tutto quello che succede, soprattutto quando in ballo ci sono grandi somme di denaro, ormai è affidata solo al governo.
Nel frattempo, in città, i bambù sono ancora più visibili di prima: ora che è stato confermato che a far propagare l’incendio in realtà sono state le reti di plastica e soprattutto i pannelli di polistirolo che erano stati messi alle finestre per non danneggiarle, quasi tutti i cantieri le hanno tolte, lasciando scoperte le impalcature più tradizionali. Quelle che hanno costruito Hong Kong. ◆
Questo articolo è stato scritto per Internazionale.
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