Negli anni l’estremismo politico ha alterato il modo in cui gli statunitensi vivono la religione, e questo ha implicazioni su un elemento fondamentale: il rapporto tra stato e chiesa.

È probabile che vi sia capitato di leggere che la costituzione degli Stati Uniti garantisce una separazione netta. È vero, ma è anche vero che le scuole religiose ricevono finanziamenti dal governo, che sulle banconote in dollari c’è scritto “in God we trust” (abbiamo fede in Dio), che sono previste esenzioni fiscali per le istituzioni religiose, che nel giuramento di fedeltà alla bandiera c’è scritto “under God” (sotto Dio) e che i presidenti mettono la mano sulla Bibbia durante la cerimonia d’insediamento (e si potrebbe andare avanti ancora e ancora). Come si spiega?

Una prima risposta ha a che fare con la storia e con la cultura. La religione è profondamente radicata nella tradizione degli Stati Uniti. Per molti anni dopo la fondazione della repubblica è stato il cristianesimo a farla da padrone (George Washington, il primo presidente, decise di prestare giuramento con una Bibbia, nel 1789), ma poi, con l’arrivo di decine di milioni di migranti da tutto il mondo, è aumentato il numero di comunità che volevano esercitare la loro fede, e potevano farlo grazie alla costituzione che difende la libertà religiosa.

Oggi gli americani hanno molto a cuore le loro chiese, moschee, sinagoghe e templi vari, e in entrambi i partiti politici ci sono persone credenti che vedono i tentativi di limitare il peso della religione nella società come attacco contro la loro fede, oltre che contro la costituzione (questo spiega peraltro perché nessuna amministrazione ha seriamente tentato di abolire le esenzioni fiscali per le organizzazioni religiose).

L’altra parte della spiegazione per quell’apparente contraddizione riguarda le leggi, e per capirla bisogna addentrarsi un po’ nel diritto e tornare alla costituzione. A proposito della religione i padri fondatori scrissero un’unica frase che cercava allo stesso tempo di imporre la laicità dello stato e di garantire la libertà religiosa: “Il congresso non emanerà nessuna legge che istituisca una religione o ne proibisca il libero esercizio”. Due righe apparentemente molto chiare, ma che in realtà si prestano a conclusioni molto diverse in base a come vengono interpretate.

Negli Stati Uniti è la corte suprema a determinare il significato della costituzione e ad applicarla ai singoli casi, e questo significa che le leggi e il paese in generale possono prendere direzioni diverse o anche opposte a seconda dell’orientamento della maggioranza dei giudici. Il caso dei finanziamenti alle scuole religiose è il più emblematico e anche il più interessante, perché riflette l’evoluzione politica e ideologica degli ultimi decenni.

Per molto tempo la corte suprema ha interpretato quelle due righe mettendo l’accento sulla separazione tra stato e chiesa. Nel 1947, con la sentenza Everson contro board of education, stabilì che “nessuna tassa, grande o piccola, può essere imposta per sostenere attività o istituzioni religiose”. Le cose hanno cominciato a cambiare a partire dagli anni settanta, quando la nomina di molti giudici conservatori ha spinto la giurisprudenza verso un’interpretazione che si preoccupava di più della libertà religiosa e quindi tendeva a dare ragione alle scuole religiose.

Il culto di Donald Trump
In questi anni è rimasto al centro della vita politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio. La storia di un pastore e di suo figlio mostra come è nata quest’alleanza

Ma la svolta vera è arrivata negli ultimi dieci anni, per due motivi. Il primo è che Trump ha potuto nominare ben tre giudici conservatori della corte suprema, tutti con solide convinzioni cristiane. Il secondo ha a che fare con la pandemia di covid, che ha portato molti stati e amministrazioni locali ad approvare ordinanze sanitarie che sono state contestate dai gruppi religiosi. Il risultato è che la corte ha cominciato a interessarsi sempre di più di cause religiose, e nella nuova formazione (tre giudici progressisti e sei conservatori, di cui cinque cattolici) ha emesso una serie di sentenze molto sbilanciate verso la difesa della libertà religiosa.

Nel 2020 e nel 2022, in due casi che riguardavano il Montana e il Maine, la corte ha stabilito che i governi statali non possono escludere le scuole religiose dai programmi di finanziamento pubblici e ora c’è molta attesa per una sentenza che dovrebbe arrivare in estate e riguarda l’Oklahoma. La causa ha implicazioni potenzialmente enormi e inquietanti.

È stata portata avanti dalla St. Isidore of Seville catholic virtual school, una scuola cattolica che vorrebbe ottenere lo status di charter school, cioè un istituto che opera in modo indipendente ma riceve anche finanziamenti pubblici. Secondo la proposta presentata dai dirigenti scolastici allo stato, ai bambini dell’asilo verrebbe insegnato che “possono comunicare con Dio attraverso la preghiera”, mentre quelli di prima elementare verrebbero avviati alla messa e alla “realtà del peccato”. E ancora: “Gli insegnamenti di Gesù Cristo stabiliti dal catechismo della chiesa cattolica pervadono la giornata scolastica”, intrecciandosi con il programma laico. L’introduzione alle scienze nelle scuole superiori “rivelerà l’ordinato creato di Dio”, mentre la biologia adotterà “un approccio basato sulla fede al valore della vita umana fin dai suoi inizi”. La scuola sarebbe aperta a tutti gli studenti, anche quelli non cattolici, ma tutti dovrebbero partecipare alla messa.

Il New Yorker ha spiegato che stavolta la corte suprema potrebbe dare torto alla scuola religiosa, perché Amy Coney Barrett, una delle giudici conservatrici, ha deciso di astenersi dalla causa per via di un conflitto d’interessi mentre John Roberts, considerato un conservatore moderato, potrebbe schierarsi con l’ala progressista; e in caso di parità tra i giudici (4 a 4) sarà confermata la sentenza della corte suprema statale che ha respinto la richiesta della St. Isidore. “Ma prima o poi arriverà un altro caso simile in cui la corte si schiererà con la scuola religiosa, e questo aprirebbe le porte ai finanziamenti pubblici per gli istituti religiosi nei quarantasette stati che oggi li vietano, oltre che a una serie di domande difficili: cosa succederà se una charter school sosterrà di poter istruire solo i membri della sua fede? O se una scuola decide di insegnare il creazionismo invece della teoria dell’evoluzione?

Il problema di fondo è che la corte suprema è molto determinata a difesa della libertà religiosa quando si tratta delle rivendicazioni avanzate dai gruppi cristiani vicini alle posizioni del Partito repubblicano, molto meno quando deve esprimersi su casi che riguardano altre comunità. Lo dimostra la decisione dei giudici di avallare le politiche di Trump che nel primo mandato hanno vietato l’ingresso negli Stati Uniti a persone provenienti da paesi a maggioranza musulmana (quindi in base alla loro appartenenza religiosa); o la sentenza con cui hanno bocciato la richiesta di un detenuto musulmano nel braccio della morte in Alabama di avere un imam invece di un cappellano cristiano presente durante l’esecuzione.

Questo succede per lo stesso slittamento di cui si parlava la scorsa settimana: come la fede si è messa al servizio della politica, così la corte suprema, l’organo che su molte questioni determina la direzione politica e sociale del paese, tende sempre di più a interpretare la costituzione attraverso la lente del conflitto ideologico.

Per chi volesse sapere di più sulla formazione religiosa dei vari presidenti degli Stati Uniti, ne ha parlato il Pew research center qui.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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