“Usare” le intelligenze artificiali non significa solo aprire un chatbot, ma riconoscere che oggi esistono software e macchine – spesso a basso costo – che permettono di fare cose fino a poco tempo fa impensabili per chi non lavorava in un centro di ricerca o in una grande azienda o per chi non aveva a disposizione un gruppo di lavoro con varie competenze e grossi budget.
Una delle caratteristiche delle ia generative che mette più in difficoltà chi le usa per la prima volta è il fatto che si presentano come fogli bianchi: c’è una macchina che non ha un uso intuitivo o immediatamente comprensibile ma ti chiede “cosa posso fare per te?”. Questo è spiazzante: una calcolatrice, un computer non ci hanno mai chiesto “cosa posso fare per te?”.
Quasi sempre il passaggio decisivo per riuscire a usare efficacemente le macchine è una combinazione fra la capacità di “fare la domanda giusta” e quella di adattare gli strumenti alle nostre esigenze, per metterli nella condizione di funzionare meglio per noi. In altre parole, non chiediamo alle macchine di sostituirci ma di potenziarci e di aiutarci a fare meglio.
Dopo l’uscita di ChatGpt, per molti mesi si sono diffuse guide che offrivano elenchi di comandi da copiare e incollare, buoni per tutti. In realtà se si usa questo metodo di lavoro i risultati rischiano di essere banali, appiattiti e deludenti. È meglio, invece, descrivere alle macchine accuratamente il compito per il quale vorremmo usarle e farci dire esplicitamente come potrebbero esserci d’aiuto e di quali informazioni hanno bisogno per aiutarci meglio.
In questo modo si forzano i large language model a chiederci materiale – per esempio linee guida, documenti, informazioni, istruzioni – che useranno per aiutarci.
Negli ultimi due anni ho usato questo approccio alle ia per ricostruire cronologie di eventi, sintetizzare materiali, esplorare variazioni stilistiche, semplificare linguaggi burocratici, progettare glossari – incluso quello della newsletter Artificiale –, inventare lingue, editare bozze, interrogare archivi (come quello che raccoglie tutti i documenti prodotti sulla strage di Bologna), creare immagini e video, immaginare e progettare strumenti didattici, fare articoli di data journalism su temi – anche leggeri – che prima non avrei mai sperimentato per ragioni di tempo.
Ho usato le macchine come assistenti al montaggio video – qui c’è una guida – e perfino per dimostrare che possiamo programmare un’intelligenza artificiale a mentire sempre. È il caso del motore di allucinazione che si può usare dentro ChatGpt per ottenere sempre risposte sbagliate e allucinatorie.
Insegnando l’uso di queste macchine ho imparato che un sistema per velocizzare l’apprendimento è mostrare cose che prima non si potevano fare allo stesso modo. Facciamo qualche esempio.
La mattina del 3 ottobre durante il workshop che ho tenuto al festival di Internazionale a Ferrara, ho commentato la legge italiana sulle intelligenze artificiali. Che si sia d’accordo o meno con quello che la legge prescrive, visto che è stata approvata, è diventato un passo necessario per applicarle al mondo del lavoro. Mentre parlavo ho lasciato il mio smartphone in registrazione. Poi, durante la pausa caffè, ho caricato la registrazione e la sua trascrizione, fatta automaticamente, dentro uno strumento che si chiama NotebookLm. Infine, ho chiesto a NotebookLm di sintetizzare il mio discorso in un video, che puoi vedere qui: l’ho pubblicato volutamente così come è stato fatto dalla macchina, senza alcun intervento. Tre anni fa questo lavoro senza assistenti umani era semplicemente impossibile.
Al festival di Internazionale ho anche presentato insieme a Mafe De Baggis il libro che ho scritto con lei, E poi arrivò DeepSeek (Apogeo 2025). Vista la giornata e visto che il libro non è un manuale, abbiamo parlato molto anche di politica. Sempre usando NotebookLm, ho pubblicato un video che racconta parzialmente quello che abbiamo detto. Ho dovuto fare un piccolo intervento di montaggio e basta. La macchina ha sbagliato l’accento sul mio cognome, come il 98 per cento delle persone.
È ovvio che si potesse fare meglio e che, con il tempo, questo tipo di contenuti diventeranno molto diffusi e quindi bisognerà fare qualcosa di diverso. Ma per il momento ho a disposizione uno strumento che ha creato una serie di diapositive e una voce fuori campo che le commenta, a partire da quello che ho detto.
Per un progetto editoriale volevo fare un elenco di tutti gli oggetti in vendita in un programma televisivo che si chiama Cash or trash. La dinamica del programma è questa: una persona vuole vendere un oggetto. Un esperto d’aste lo valuta e ne racconta la storia, insieme al venditore. Poi l’oggetto viene proposto a un gruppo di mercanti che se lo contendono all’asta. Ho fatto ascoltare a un’ia le registrazioni del programma, con un’altra ho estratto le informazioni che mi servivano. Il risultato è un lavoro di data journalism applicato all’intrattenimento.
Avrei potuto farlo anche prima delle ia? Certo che sì: in effetti, nessuna delle attività di cui stiamo parlando era inedita, ma tutte sono cambiate grazie alla possibilità di provare, modificare, personalizzare e accelerare alcuni pezzi del lavoro. Ma prima delle ia un lavoro come quello su Cash or trash avrei potuto farlo solo con un investimento di tempo insostenibile. Quindi non l’avrei mai fatto.
Se riusciamo a integrare questo approccio all’idea che le macchine di nuova generazione funzionano meglio se le personalizziamo, avremo ancora più possibilità di usarle in modo efficace, soddisfacente e perfino divertente.
In una lezione online che è disponibile gratuitamente, ho raccontato come personalizzare i modelli linguistici. Si comincia con istruzioni semplici e si procede via via facendo crescere la complessità di quel che si chiede di fare alle macchine, in modo che i loro output siano molto vicini a quel che vogliamo.
Su Artificiale trovi anche molte guide: come si impara a parlare con le ia, come si insegna alle macchine a riconoscere oggetti, come fanno le ia a riconoscere gli scarabocchi, come giocare con le ia, come possiamo usare le macchine per spiegarci libri o documenti lunghi e complessi.
Questi link sono un buon punto di partenza se vuoi imparare a usare le ia seguendo il metodo di Artificiale.
Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.
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